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Draghi ricorda Andreatta alla Bologna Business School
L'intervento del premier all'Ateneo bolognese, dove viene intitolata un'aula all'ex ministro e accademico, riferimento della sinistra cattolica. Ci sono anche Letta e Prodi
Il premier Mario Draghi partecipa all'intitolazione dell’Aula magna della Bologna Business School a Beniamino Andreatta, ex ministro e accademico, anima spirituale di Enrico Letta. Una sorta di omaggio del presidente del consiglio alla sinistra e la saldatura del legame tra il capo dello stato e uno dei partiti che sostengono la maggioranza. "Non è solo un viaggio istituzionale ma l’omaggio a una tradizione, a un uomo che è il lungo filo rosso fra sinistra e cattolicesimo. È il braccio teso di governo".
Ecco il discorso integrale del presidente del Consiglio.
Sua Eminenza Don Matteo Zuppi,
Professor Prodi,
Magnifico Rettore Ubertini,
Famiglia Andreatta,
Autorità tutte,
Sono onorato di essere qui con voi per intitolare l’Aula Magna della Bologna Business School a Beniamino Andreatta.
Andreatta è stato un riformatore paziente e lungimirante dell’economia italiana.
Un protagonista appassionato del dibattito europeo.
Un punto di riferimento della vita accademica di Bologna, la sua città adottiva.
È difficile pensare a un luogo più appropriato di questo per ricordarlo.
Oggi celebriamo prima di tutto il valore che Andreatta dava alla vocazione dell’insegnamento.
La curiosità intellettuale, coltivata durante la sua formazione italiana e internazionale, a Padova, alla Cattolica di Milano e a Cambridge.
La profonda umanità e i valori morali che hanno caratterizzato la sua vita.
E che si sono espressi nell’attività accademica e nel servizio alle istituzioni repubblicane.
Nell’università, Andreatta è stato un innovatore.
Ha espresso la sua carica trasformatrice a Trento, la città dove era nato e cresciuto.
A Bologna, con la riforma della facoltà di scienze politiche e la fondazione dell’Istituto di scienze economiche.
Nel Mezzogiorno, con la fondazione dell’Università della Calabria a Arcavacata, di cui cinquant’anni fa fu eletto primo Rettore.
La generosità di Andreatta ha toccato anche la mia carriera.
Senza conoscermi personalmente, come era nel suo stile, prima mi segnalò per l’Università della Calabria, e poi indicò a Federico Caffè l’esistenza di una posizione di politica economica alla facoltà di Sociologia dell’Università di Trento.
Fu il mio primo incarico di ritorno dal MIT.
Durante la mia esperienza a Trento, ho avuto finalmente l’occasione di conoscere Andreatta di persona, e di frequentare Bologna.
La ricchezza culturale della città in quegli anni doveva molto alla sua figura.
Mi colpì l’attenzione che dedicava ai giovani, alle persone che si trovavano all’inizio della carriera.
Una caratteristica che lo ha accompagnato per la vita e per cui gli sono ancora molto grato.
Tutti coloro che hanno studiato con Andreatta ricordano le conversazioni con lui.
L’originalità delle sue domande, la freschezza dei suoi ragionamenti, il rigore con cui valutava le tue risposte.
Ma Andreatta nella vita pubblica italiana non è stato solo il maestro di tanti allievi.
A suo avviso, lo sviluppo morale e civile del Paese doveva coinvolgere i mondi della cultura, della politica e delle professioni, in uno scambio costruttivo.
Lavorò costantemente per aprire l’università al mondo esterno e colse l’importanza dei centri di ricerca.
Lo ha fatto con la fondazione di Prometeia qui a Bologna, e con l’AREL, l’Agenzia per la Ricerca e la Legislazione a Roma.
Nei giorni del Forum Interreligioso del G20 a Bologna, voglio ricordare anche il suo impegno come presidente della Fondazione per le scienze religiose.
Alla costante vocazione di Andreatta per la ricerca si deve anche il suo timbro intellettuale.
Ha sempre messo in discussione le sue convinzioni.
Per Andreatta, visione e pragmatismo non erano alternative ma complementari.
La sua intelligenza era sempre applicata alla realtà.
Nei suoi scritti e nelle sue azioni, ha voluto sempre guardare al futuro.
Dall’analisi del divario tra Europa e Stati Uniti sulla tecnologia e la ricerca, alla centralità della questione demografica, fino alla difesa comune europea.
Molti suoi interventi di trenta o di cinquant’anni fa, sul versante accademico e su quello politico-culturale, ci parlano del nostro presente.
Il tratto più rilevante di Andreatta uomo di Stato resta il suo rigore morale.
Lo studio e la conoscenza dei problemi alimentavano la sua indipendenza di giudizio.
Da ministro, si è mosso in modo coraggioso e onesto in anni drammatici per la Repubblica, e non ha esitato a prendere decisioni necessarie anche quando impopolari.
“Le cose vanno fatte perché si devono fare, non per avere un risultato immediato,” come sintetizzò con efficacia.
Penso in particolare agli anni a Via XX Settembre, al Bilancio e al Tesoro, tra il 1980 e il 1982.
Alla sua critica alla degenerazione delle politiche di bilancio.
Al suo sostegno alla scelta dell’indipendenza della banca centrale dal governo.
Alla soluzione della crisi del Banco Ambrosiano.
Andreatta ha attraversato le tempeste di quegli anni con autonomia e immediatezza.
Esortando anche la propria parte politica a “dire molti no e pochi sì per evitare che tutto sia travolto nella irresponsabilità”.
La politica di allora non lo ascoltò, anzi lo emarginò.
I risultati di quella scelta scellerata sono davanti a noi.
In questi mesi, ho spesso ricordato come le ingenti risorse del programma Next Generation EU debbano richiamarci al senso di responsabilità.
Non solo verso l’Europa, ma verso noi stessi e le nuove generazioni.
Abbiamo il dovere di spendere in maniera efficiente e onesta.
E di avviare un percorso di riforme per rendere l’economia italiana più giusta e più competitiva, capace di riprendere un sentiero di crescita che abbiamo abbandonato un quarto di secolo fa.
La vita di Andreatta, che è stato uno tra i più tenaci costruttori dell’integrazione europea in Italia, ci offre un esempio sempre attuale.
Sono certo che saprà ispirare le generazioni di studenti che frequenteranno quest’Aula Magna.