Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 

editoriali

Adelante, Draghi, con juicio

Redazione

Cosa hanno in comune riaperture, sblocco dei licenziamenti e green pass

C’è un paradosso nel rapporto tra il governo Draghi e i suoi oppositori. Fino a poco tempo fa, il presidente del Consiglio veniva accusato (soprattutto da sinistra) di sacrificare la salute sull’altare dell’economia. Quando alla fine di aprile cominciarono le riaperture ci fu addirittura chi lo accusò di essere “il nostro Bolsonaro” (Tomaso Montanari). Oltre all’incipiente ondata pandemica, si imputava al premier un’altra ondata, quella dei licenziamenti che sarebbe certamente seguita alla rimozione, per quanto graduale, dei blocchi. Nulla di tutto ciò si è verificato: anzi, il mercato del lavoro sta andando bene e, per quanto riguarda il Covid-19, l’Italia è tra i paesi europei uno di quelli in grado di tenere meglio sotto controllo la situazione. Tant’è che oggi Draghi viene accusato (soprattutto da destra) di sacrificare l’economia sull’altare della salute, come se il green pass abbia determinato chissà quali sconquassi.

 

In realtà, c’è una coerenza tra la spinta verso la riduzione delle restrizioni in primavera, e il pugno duro sul green pass oggi. La coerenza nasce dal pragmatismo con cui l’esecutivo guarda ai dati, e dalla consapevolezza che solo una campagna vaccinale davvero a tappeto può portarci fuori dall’emergenza. Oggi, il 77 per cento della popolazione ha ricevuto almeno una dose, al livello più alto nell’Ue dopo Portogallo e Spagna. L’elevato grado di copertura vaccinale è il più importante successo dell’Italia (e di  Draghi) e spiega perché riusciamo a tenere un equilibrio virtuoso tra una ripresa economica superiore alle aspettative, il ritorno a una vita sociale quasi normale e un ragionevole grado di protezione dalla malattia e dalle sue conseguenze peggiori. Questo non significa che il green pass sia perfetto o privo di contraddizioni pratiche. Significa però che va migliorato e affinato, non rimosso. La guerra al green pass oggi è tanto ideologica e infondata quanto quella alle riaperture ieri. A differenza delle critiche costruttive, un approccio massimalista fa male a tutti – e dice molto su chi se ne rende protagonista.

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