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editoriali

Il referendum è un test sulla New Lega

Redazione

Il sì della Corte ai quesiti incatena Salvini a Draghi e apre una nuova fase

La Lega si trova in una posizione scomoda, i suoi storici alleati hanno posizioni nette, di sostegno al governo Forza Italia, di opposizione Fratelli d’Italia, e, almeno stando ai sondaggi, migliorano ambedue il proprio consenso mentre quello del partito di Matteo Salvini decresce. Giancarlo Giorgetti cerca di affermare il profilo governativo della Lega, sia in campo nazionale sia nella collocazione internazionale, e per questo insiste nella selezione delle priorità, sottolineando quelle che promuovono la crescita di medio periodo rispetto alle elargizioni e ai sussidi distribuiti più o meno a pioggia. Nel corpo del partito si fronteggia questa opzione, che rappresenta soprattutto i ceti produttivi del nord, giustapposta più che contrapposta a quella di chi preferisce intestarsi tutte le elargizioni in una logica essenzialmente assistenzialistica.

Quale sarà la risultante finale di questo confronto non è dato sapere, anche se la tendenza che appare prevalente anche a osservatori esterni, come Dario Franceschini, è un graduale spostamento verso posizioni moderate e un abbandono delle pulsioni antieuropee. Si tratta di un processo complicato, il cui esito però sarà assai rilevante per il sistema politico. Non avendo eletto Mario Draghi al Quirinale, ora la transizione verso un sistema ordinato che confermi le scelte fondamentali e costruisca una dialettica, come dice acutamente Franceschini nel sistema e non dal sistema, è rimasto sulle spalle dei partiti.

Ora l’ammissione dei quesiti referendari sulla giustizia dà a Salvini una ragione in più per sostenere il governo, perché lo scioglimento delle Camere rinvierebbe i referendum (e non è escluso che i settori giustizialisti puntino a questo). Una Lega in cui prevalga un orientamento più responsabile, come quello dimostrato da Salvini sulla “piccola” riforma Cartabia considerata un primo passo e non un ostacolo ai referendum, sarebbe la garanzia di un centrodestra in cui l’eventuale apporto delle spinte sovraniste sia controllabile, come nel centrosinistra “largo” quelle analoghe del M5s.