(foto Ansa)

Matteo Salvini, un clown triste e sconfitto

Giuliano Ferrara

Uno sputtanamento così radicale come quello ricevuto dal sindaco polacco richiede misure estreme. Ma per il segretario leghista c'è ancora una via di fuga

Nella vita ci sono le occasioni. Il senatore Salvini, in circostanze ormai più che imbarazzanti, ne ha ora una. Si è ficcato dove non doveva, con un atto benevolente ma plateale, esibizionistico, al confine tra Polonia e Ucraina. Confidente nel messaggio su “aiuti e pace”, sfacciato, ha preso posto dopo un viaggio di propaganda pacifista vicino a un sindaco polacco al quale chiedeva un pass per la sua nuova identità di partigiano della pace a due passi da chi ha scatenato la guerra in Europa, e questi gli ha rinfacciato la maglietta con il volto idolatrato di Putin, gliela ha lasciata sul microfono del piccolo podio comune con un gesto raro di disprezzo e di castigo e lo ha abbandonato ai suoi balbettamenti e ai suoi pensieri affranti di reietto della comunità internazionale. A questo punto non ha più senso per lui, verso il quale sarebbe anche assurdo nutrire sentimenti meschini di vendetta, insistere. Uno sputtanamento così radicale richiede misure estreme

 

L’occasione di Salvini è semplice. Ha agito con dabbenaggine, in considerazione piccina del suo interesse di leader rampante del populismo all’italiana, nei confronti di Putin, non con ragionamenti o opzioni politiche ma con il tifo aperto. Ci ha richiamati all’ammirazione per quel tipo d’uomo forte e di potere forte, nei giorni in cui preparava la sua non ricevuta richiesta di pieni poteri per la russificazione politica del governo italiano sulla scia dei Trump e dei Giuliani. A Roma si dice che questi non sono fiaschi che si abbottano. Si possono fare mille giravolte, e si verrà perdonati in nome del realismo, ma non questa: usare sé stessi una volta come simboli di russificazione armata della politica e una volta come colombe della pace presso un confine di dolore in cui si sono rifugiati un milione e duecentomila ucraini, vecchi donne e bambini, in una sola settimana, non è nemmeno tragico o intollerabile, è ridicolo. Se non vuole essere inchiodato alle puntualizzazioni atroci sul suo passato di groupie del capo russo, se vuole riconquistare un minimo di dignità e praticabilità politica, specie in virtù del sospetto documentato che lo scambio morale e materiale con il Cremlino abbia avuto ragioni materiali forti, tra le meno nobili, Salvini dovrebbe imboccare una nuova strada.

Sarà dura ritrovare un barlume di credibilità psicologica e etica, dopo questa performance così disinvolta, che impallidisce rispetto alla riscoperta dell’Europa e di Draghi in clima di unità nazionale trasfigurante. L’unico modo di provarci non è una nuova giravolta o battersi il petto, ma esporsi senza pietà per la propria immagine pubblica. Il senatore dovrebbe raccontare per filo e per segno, in termini anche privati e di coscienza, che cosa può essere di devastante, specie per un giovane leader alla ricerca del potere, il perseguimento a ogni costo di una popolarità losca, quanto ci sia di sciocco e prepolitico, di narcisistico e illusorio, in quell’andare e venire tra piazza Rossa e hotel Metropol, fino al viaggio fatale ai confini dell’orrore. Dovrebbe finalmente mostrare un volto che non alluda alla stima infinita di sé, e della sua sciagurata disinvoltura e dabbenaggine, un volto che non sia balbettante come le parole inceppate e la fuga di lato davanti allo scandalo. Dovrebbe dirci che ha finalmente capito non già chi è, il che è sempre misterioso anche per il titolare dell’identità, ma chi è voluto apparire e perché. Solo a questo patto, senza dimenticare, gli sarà consentito di recuperare con fatica uno spazio di persona diverso da quello di un clown triste e sconfitto dalle sue stesse smorfie.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.