(foto Ansa)

La svolta

Petrocelli atto ultimo: per farlo cadere si dimette (quasi) tutta la commissione Esteri

Redazione

L'ex grillino sarà destituito ma non si arrende e annuncia il ricorso alla Corte costituzionale: "Fatto fuori per una questione politica"

Forse è davvero la fine di questa soap opera di metà primavera. Vito Petrocelli sarà destituito dalla presidenza della commissione Esteri al Senato dopo che quasi tutti i componenti della suddetta commissione parlamentare nelle ultime ore si sono dimessi. In plateale protesta nei confronti del senatore grillino (nel frattempo Giuseppe Conte ha detto di aver espulso dal Movimento, ma formalmente rimane iscritto al gruppo), l'ultimo baluardo del filo putinismo all'interno del Parlamento italiano

Lo avevamo anticipato per tempo. Quella delle dimissioni di massa era una strategia che i partiti della maggioranza avevano da subito messo sul tavolo. Avendo capito che di passi indietro spontanei da parte dell'esponente Cinque stelle non ce ne sarebbero stati. Anzi. Per registrare un sempre crescente dissenso Petrocelli con l'andare delle settimane aveva preso a ingigantire le proprie sparate anti atlantiste. Il 25 aprile aveva scritto "Buona liberaZione" alludendo alla lettera usata dall'esercito di Putin per propagandare invasione dell'Ucraina. E in effetti quella in cui sembrava essersi cacciata la commissione Esteri appariva una strettoia con scarse soluzioni creative: per i regolamenti parlamentari infatti i presidenti e i componenti delle commissioni sono insostituibili. Ma, e qui è iniziata a prendere forma la controstrategia delle forze di maggioranza, la presidente del Senato Elisabetta Alberto Casellati avrebbe mai potuto non tenere conto delle dimissioni di massa di tutti i componenti? Alla fine ci si è arrivati. 

Si sono dimessi quasi tutti. Dalla Lega (compreso il segretario Matteo Salvini). Al Pd (che lo avevo proposto per primo). Ma ha annunciato il passo indietro anche il senatore di Fratelli d'Italia Adolfo Urso. "Abbiamo il dovere di garantire la piena operatività della Commissione in un momento così importante nelle relazioni internazionali del nostro Paese. Ma soprattutto è necessario che la presidenza della Commissione ritorni a svolgere quel ruolo di garanzia e di terzietà, che di fatto Petrocelli non esprime più e dal quale, inoltre, gli stessi componenti non si sentono rappresentati", ha detto per spiegare il passo indietro come unico rappresentante della forza di opposizione. Chi rimane formalmente all'interno della commissione? Il solo senatore del M5s Alberto Airola. "Sono molto combattuto per la stima che ho verso i miei colleghi e verso Giuseppe Conte. Sono consapevole, al di là delle dichiarazioni di Petrocelli, che un mio gesto potrebbe indebolire la linea politica del Movimento, ma sono in forte difficoltà verso quello che potrebbe costituire un gravissimo precedente per il futuro democratico dei lavori parlamentari", ha spiegato. "Temo un possibile opportunismo politico degli altri partiti che potrebbero ambire alla presidenza della commissione Esteri in questo delicatissimo momento di guerra".

Di fatto, già questa mattina si è potuto ammirare uno dei primi effetti di queste dimissioni di massa. Perché la seduta della commissione, prevista alle ore 12, è stata cancellata. "La vicenda Petrocelli dimostra ancora una volta come la maggioranza che sostiene Draghi sia nei fatti solida e coesa, molto di più che se ascoltiamo le dichiarazioni di Conte o Salvini delle ultime ore", ha detto il senatore di Italia viva Davide Faraone. E il diretto interessato, l'oramai ex presidente Petrocelli? Nessuno sembra poterlo smuovere dalle sue convinzioni. "La dimissione dei colleghi è una loro scelta, e anche una grande responsabilità. Oggi la seduta è stata subito chiusa, viste le circostanze. La giunta ha preso una decisione, mi pare un pericoloso precedente, che magari qualcuno considera legittimo per eliminare un pericoloso filo-russo e putiniano", ha detto. Prima di far sapere che si rivolgerà alla Corte costituzionale. Perché "non sono indagato. Non sono più presidente solo per una questione politica". 

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