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La stoccata

Paolo Damilano dopo l'addio al centrodestra: "Non seguo le derive populiste"

Redazione

"Sono un liberale e un convinto atlantista, proseguo per la mia strada", dice l'ex candidato sindaco di Torino, spiegando lo strappo con la coalizione. E su Salvini: "La Lega è un partito da rifare". Intanto anche ad Asti il presidente della provincia abbandona il Carroccio

Ai microfoni della Stampa, Paolo Damilano ha rilasciato delle reazioni a caldo dopo l'allontanamento dalla coalizione di centrodestra: atlantista, senza rancori ma desideroso di proseguire per la sua strada. L'ex candidato sindaco di Torino nel 2021 era stato a un passo dal governare la città sabauda, oggi amministrata dall'avversario Stefano Lo Russo che vinse con il 43 per cento delle preferenze (rispetto al 38,90 di Damilano). Dopo un anno dalla corsa elettorale, ecco la scelta di uscire dalla coalizione. E non capita in un momento qualunque ma nella situazione in cui il centrodestra si trova ad arrancare sempre di più rispetto al passato, tra problemi interni e conseguente sfiducia che emerge dagli ultimi sondaggi. "Sono una persona libera che non ha mai chiesto niente a nessuno" ha affermato Damilano "che ha avviato un progetto autonomo, accolto il sostegno di alcune forze politiche, che ho sempre ringraziato, e poi capito che non si poteva più proseguire sulla stessa strada". Nessun rancore: l'imprenditore ha pian piano maturato pensieri differenti rispetto a quelli portati avanti dalla Lega e dal resto del centrodestra, fino ad accettare di essere troppo diversi per poter continuare insieme.

“Io non critico nessuno, ciascuno sceglie la sua linea” E Damilano ha scelto la sua, moderata e liberale. “Già in campagna elettorale mi è spiaciuto vedere una coalizione in cui la mano destra non sapeva cosa facesse la sinistra, confusa sulla prospettiva da dare a questo paese, sulla sua collocazione, sul tema dei diritti.” L'ex candidato ha poi rimarcato la mancanza di leadership e di identità che ultimamente ha contraddistinto soprattutto la Lega: la proposta è quella di un reset che possa riconnettere il partito con i suoi elettori, confusi e sfiduciati, arrivando a un indebolimento del governo che sta già affrontando una situazione drammatica. Un pensiero molto simile a quello di Giorgetti: "Con lui ho un rapporto di grande stima reciproca ma francamente non conosco i suoi pensieri attuali né le sue intenzioni” ha ammesso Damilano che continua a esporre la sua opinione anche sul governo.

"Draghi si è assunto l’onere di traghettare l’Italia fuori dalla pandemia ma se adesso, oltre alla crisi scatenata dalla guerra, deve trattare con azionisti che litigano guardando già alle prossime elezioni, la navigazione diventa ardua”. “Io ho creato un progetto autonomo che i partiti del centrodestra hanno sostenuto ma nel quale ho messo i soldi dall’inizio alla fine. Ho dimostrato serietà, forza, tenacia. A Torino il centrodestra non andava al ballottaggio da oltre vent’anni” ha rimarcato l'ex candidato, togliendosi anche qualche sassolino di troppo. “Sto al gioco: io non ho tessere di partito, non rispondo ai diktat delle segreterie e posso anche capire chi oggi recita una parte e deve dire cose che magari nemmeno pensa”.

Bisogna tornare alle origini, all'assoluta dipendenza, ai valori e riferimenti culturali oggi persi. Nonostente sia una comunità piena di persone con grandi qualità, il male del centrodestra, secondo Damilano è la mancanza di espressione dettata da una linea spesso non condivisa e difficile da accettare, ma che viene seguita recitando una parte. L'unica via è quella di dotare la struttura come se fosse un'azienda, dove si c'è un vertice ma dove le varie parti sono in grado di camminare indipendentemente. Pochi i punti di contatto con la Lega e molti di più quelli che li vedono in disaccordo: è stato sbagliato affidare la sopravvivenza energetica a Putin, ma è indiscutibile che bisogna inviare armi all'Ucraina. Bisogna emanciparsi dagli interessi di Usa e Cina e sfruttare la propria indipendenza europea. Ha quindi sbagliato Salvini a proporsi come mediatore diplomatico in questa crisi internazionale, dove le trattative spettano ai capi di governo e leader europei. “S’immagini che caos se ogni leader di partito volasse a Mosca o a Kiev per fare da paciere” ha asserito Damilano, senza utilizzare giri di parole.

E sul futuro Damilano risponde: "Non mi appassionano le formule politiche. Ma, ed è un parere piuttosto diffuso mi sembra, si avverte l’esigenza fortissima di costruire un’area liberale fatta di persone serie che abbiano ben chiari i problemi del Paese. I prossimi anni saranno durissimi: il Pnrr era la medicina giusta per il post pandemia ma la guerra e la crisi delle materie prime hanno vanificato tutto. L’Italia rischia di trovarsi in una situazionale analoga alla Grecia del 2009, con un rapporto debito-pil insostenibile. Serviranno condizioni di governabilità e stabilità oltre a persone credibili e affidabili come lo è Draghi oggi. E nel sistema politico, con qualunque legge elettorale, un centro serio sarà determinante". E' proprio dai colleghi uscenti come lui che sono arrivati gli auguri per il futuro. "A Paolo posso dire benvenuto nell'area dei liberali, europeisti e atlantisti, cioè nell'area che ha fatto la storia dell'Italia e costruito il destino di democrazia e libertà, di benessere e di crescita", dice Osvaldo Napoli di Azione. Dello stesso partito si è congratulata anche la parlamentare Daniela Ruffino: "Nessuno stupore per la decisione di lasciare il centrodestra anzi, un atto di coraggio e coerenza per difendere la sua identità già chiara nel momento della candidatura a sindaco". 

Intanto anche da Asti arriva una nuova defezione per la Lega: il sindaco di Valfenera e presidente della provincia ha deciso di lasciare il partito dopo più di trent'anni di militanza. "La mia permanenza risulti ormai inconciliabile e fonte di reciproco imbarazzo", ha scritto in una lettera. E' la Lega che, oramai sempre più, perde pezzi a livello locale