editoriali
Letta, Meloni e il pericolo sfascismo
Sulla manovra il Pd rimprovera al governo di non aver fatto saltare i conti pubblici
Ieri nella direzione del Pd, Enrico Letta ha criticato pesantemente la manovra del governo Meloni, definendola “improvvisata, iniqua e inadeguata”. Il messaggio del segretario dem è che non basta dire che Meloni è stata cauta con il bilancio statale, perché “questo non è un momento di transizione politica ed economica, bensì cruciale, con il paese in bilico rispetto alla recessione”. Dopo di lui è intervenuto il responsabile economico del Pd Antonio Misiani, che ha contestato la legge di Bilancio della destra offrendo al paese una “contromanovra” dem. Secondo il Pd, i 21 miliardi su 35 messi dal governo per rifinanziare le misure contro il caro energia del governo Draghi non sono sufficienti perché “solo fino ad aprile”. Per cui la risposta del Pd, per dare maggiori certezze a famiglie e imprese, è mettere più risorse per allargare ed estendere gli aiuti. Anche sulla sanità i dem sostengono che i 2 miliardi messi dal governo siano poca cosa: “Ce ne vorrebbe almeno il triplo”.
Il taglio del cuneo fiscale? Buona idea, ma tre punti sono pochi: serve un intervento più incisivo. E l’aumento dell’Assegno unico per i figli? Una “spruzzatina di risorse”: servono più soldi. Sulle pensioni Misiani contesta la riduzione dell’adeguamento all’inflazione per le pensioni più alte, il fatto che Quota 103 abbia un tetto e l’assenza di una “quattordicesima”: insomma, anche qui bisogna spendere di più. Per non parlare dei soldi che mancano su trasporti, enti locali e sud. Da finanziare come? Di certo non tagliando il Reddito di cittadinanza, come fa Meloni. Ma riducendo i “sussidi ambientalmente dannosi”, dice Misiani, che altro non sono che aiuti contro il caro energia. La sensazione è che l’“ambizione” richiesta da Letta non sia altro che qualche punto di deficit in più: dal 4,5 al 6,5 per cento, almeno. Insomma, ciò che il Pd trova disdicevole di Meloni è che non abbia sfasciato i conti pubblici. In campagna elettorale l’accusava dell’esatto contrario, cioè che avrebbe fatto ciò che ora Letta e Misiani vogliono. Nel Pd c’è un pericolo sfascismo.