editoriali
La ministra Bernini vuole allentare il numero chiuso a medicina. Bene, ma non basta
Non è vero, come vuole far passare il governo, che in Italia mancano i medici. Il problema è la mancanza di specialisti, per colpa di una programmazione sbagliata e di investimenti scarsi
Il nuovo governo rivedrà i criteri di accesso alle facoltà di Medicina. Ad annunciarlo è la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini in una lettera al Corriere della Sera: una commissione appena istituita dovrà fornire proposte al ministero entro la primavera. E fin qui, nulla di nuovo. Un intervento sul tema era atteso, visto che in campagna elettorale il leader della Lega Matteo Salvini aveva chiesto più volte l’abolizione del numero chiuso. Nonostante ciò, il superamento dell’attuale test di ingresso non si tradurrà nell’abolizione del numero chiuso. “Non possiamo aprire in automatico le porte delle università a tutti. Questione annosa, terribilmente complessa e che richiede risposte altrettanto complesse”, spiega Bernini, lasciando un indizio preciso: le carenze universitarie. E anche qui, nulla di nuovo. Il ragionamento di Bernini prosegue poi girando attorno a un presupposto che risulta, nei fatti, sbagliato.
“Mancano i medici, manca il personale sanitario come la pandemia ha evidenziato”, e quindi si chiede come sia possibile “superare l’apparente paradosso che vede migliaia di giovani bloccati in ingresso alla facoltà di Medicina con la necessità di nuovi professionisti”. Il nodo della questione è tutto qui. In Italia non mancano i laureati in Medicina, e basterebbe consultare i dati di Eurostat: rispetto al numero di laureati per centomila abitanti, l’Italia si colloca sopra la media europea e stacca nettamente paesi come Spagna, Germania e Francia. Quello che manca sono gli specialisti. E questo per diversi fattori, a cominciare da una programmazione errata e dagli scarsi investimenti in borse di studio che hanno creato nel corso degli anni il cosiddetto “imbuto formativo”. In sostanza non si riusciva a far specializzare tutte le persone che si laureavano in Medicina, impedendo così loro l’accesso al Servizio sanitario nazionale. Quindi ben venga una revisione delle modalità d’accesso, ma tenendo conto anche delle risorse necessarie per il prosieguo della formazione e senza riaprire vecchi problemi.