editoriali
Salvini e il chiodo fisso tedesco
Il ministro che non sa le regole e vuole da Scholz i danni degli ultras dell'Eintracht Francoforte a Napoli
Qualcuno nel centrodestra italiano ci aveva già provato con il Pnrr: siccome i tedeschi intendono cambiare il loro, anche noi vogliamo modificare il nostro. Poi era venuto fuori che il ritocco proposto da Berlino era solo di natura tecnica e riguardava, fra l’altro, un piano di resilienza da 25 miliardi contro quello di quasi otto volte più grande, e cioè da 191,5 miliardi, dell’Italia. Oggi Roma torna alla carica senza bussare a Bruxelles ma battendo cassa direttamente alla Germania. L’idea è venuta al vicepremier Matteo Salvini che dopo i pesanti scontri fra i “tifosi”, le virgolette sono di rigore, dell’Eintracht Francoforte e quelli del Napoli ha chiesto che a pagare i danni sia il governo di Olaf Scholz. La procedura è viziata all’origine perché prima si fa pulizia in casa propria, poi si accertano le responsabilità dell’ospite straniero e solo dopo, eventualmente, si chiedono i danni. Nel giudizio civile funziona così ma l’Italia, si sa, non brilla in Europa per il funzionamento delle proprie aule di tribunale.
La questione è anche doppiamente politica: se Salvini intende scucire la tela che la premier Meloni in cerca di riconoscimenti internazionali sta intessendo con i partner europei, tedeschi inclusi, continui pure così. Meloni, scriveva giorni fa la Welt, sta convincendo perché tiene il timone sulla rotta europeista della crescita e del rigore segnata da Mario Draghi. E poi presentarsi sempre con il cappello in mano davanti all’Europa o al suo socio di maggioranza senza neanche avere cura di adeguarsi alla normativa dell’Europa stessa restituisce un’immagine accattona prima ancora che sovranista.
Non stiamo neppure parlando del nuovo regolamento comunitario per armonizzare le norme sul riconoscimento transfrontaliero dei figli. Basti pensare a un altro settore nel quale, invece, l’Italia brilla: il turismo. La direttiva Bolkestein che avrebbe dovuto liberalizzare fra l’altro anche le spiagge italiane non è nuova ma risale al 2006.