Editoriali
Sorpresa. Le super nomine rispondono a criteri di competenza, non di appartenenza
La descrivevano come "Meloni pigliatutto", ma il decisionismo della premier non può essere descritto come una sorta di occupazione delle poltrone. Sarebbe scorretto e controproducente
Sulle nomine delle principali partecipate pubbliche diversi quotidiani hanno lanciato la narrazione di una “Meloni pigliatutto”, quasi come se la presidente del Consiglio stesse occupando militarmente o politicamente le aziende di stato. Sicuramente Meloni sta mostrando un discreto metodo decisionista, ma c’è una grossa differenza tra “pigliare” e “decidere”. Almeno nelle cinque grosse aziende controllate dallo stato – Eni, Enel, Terna, Leonardo e Poste – la premier non ha imposto nomi di parte o di partito, ma personalità che erano già state indicate da altri governi o comunque non etichettabili come “di destra”.
Descalzi in Eni è un segnale di continuità; Del Fante in Poste idem; in Enel voleva Donnarumma (vicino precedentemente al M5s) e ci andrà Flavio Cattaneo, che è un manager con esperienza; Cingolani in Leonardo è in un certo senso una scommessa, che forse non ha grande esperienza manageriale ma può sicuramente portare innovazione e ricerca in un settore strategico, ma di certo non è una nomina “politica”; in Terna Giuseppina Di Foggia, finalmente una donna al vertice di una grande azienda, viene dal privato.
Anche per le presidenze, nomi come l’ex ambasciatore Stefano Pontecorvo, che ora viene definito come una specie di “raccomandato” di Guido Crosetto, solo pochi mesi fa veniva elogiato da tutto il paese come uomo delle istituzioni per come stava gestendo da solo, nella Kabul ormai in mano ai talebani, il ritiro dei civili dall’Afghanistan. Descrivere il decisionismo di Meloni come una sorta di occupazione delle poltrone è scorretto, perché la premier ha in un certo senso seguito un criterio più istituzionale che politico (competenza più che fedeltà). Ma è anche controproducente, perché porta acqua al mulino dei partiti di maggioranza che puntavano a un’infornata di nomine secondo una logica spartitoria, magari per piazzare ai vertici di aziende strategiche e quotate qualche bizzarro e impresentabile uomo di partito.