la lettera
L'appello dei riformisti Pd contro Schlein: "Facciamo sentire la nostra voce"
"Le riforme sono un nostro tema costitutivo che non possiamo lasciare alle destre. La segretaria è timida nel rivendicare i risultati raggiunti dai dem", scrivono gli ex parlamentari Ceccanti, Morando e Tonini. Che chiamano l'area a una nuova mobilitazione
"La Segretaria Schlein ha pieno diritto di tentare di realizzare la piattaforma politico-culturale e programmatica con cui ha vinto il congresso. Noi, che abbiamo limpidamente avversato quella piattaforma, mettendo in evidenza il rischio di un regresso verso un antagonismo identitario incoerente con la natura stessa del Pd come partito a vocazione maggioritaria, abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di far vivere (e di far percepire all’esterno del partito) una visione, una cultura politica e una proposta programmatica distinta e, per molti aspetti, alternativa a quella di Schlein". E' uno dei passaggi più significativi del testo che gli ex parlamentari del Pd Stefano Ceccanti, Enrico Morando e Giorgio Tonini hanno inviato a Repubblica. In cui elencano con chiarezza le ragioni per cui la cosiddetta "area riformista" (da cui provengono) non dovrebbe rinunciare a "far sentire la propria voce" su alcune questioni importanti che stanno determinando la collocazione politica del partito.
Secondo i tre, "nel Manifesto dei valori del 2008 (l’unico nel quale continuiamo a riconoscerci pienamente), è l’impegno costituente delle diverse culture del riformismo italiano, ciò che dà un fondamento di cultura politica alla funzione che il Pd assegna a se stesso: costituire il partito asse di una credibile alternativa di governo al destra-centro". Il riferimento è all'arroccamento ideologico che starebbe perseguendo la nuova leadership, tutta presa dalla volontà di fare opposizione, che le impedirebbe di considerare come uno dei mantra del Pd in realtà è la veste governativa, di costruzione di un percorso che confluisca in un progetto con ricadute concrete. Stando alla lettura di Ceccanti, Morando e Tonini, una prova se n'è avuta durante gli incontri che la premier Meloni ha avuto con le opposizioni sul tema delle riforme costituzionali. "Quando invece Schlein sembra tentata dal rifugiarsi nell’Aventino, con il fallace argomento che non si tratterebbe di questione prioritaria nell’agenda del Paese, tocca a noi riformisti un’aperta contestazione di una scelta che — contraddicendo una delle architravi della piattaforma del Pd e, prima ancora, dell’Ulivo del 1996 — finirebbe per trasferire gratuitamente alla destra un patrimonio di riformismo istituzionale costitutivo dell’identità stessa del Partito democratico", scrivono.
Ma le divergenze non si fermano al ridisegno del sistema istituzionale. Perché anche nella carne vive degli altri interventi, anche di natura economica, quel che non sembra essere andato giù all'area riformista è quella specie di repulisti sugli interventi di natura fiscale e in materia di lavoro. "Se Schlein è timida nel rivendicare ai Governi del PD o sostenuti dal PD un primato nella riduzione strutturale del cuneo fiscale sul lavoro che Meloni attribuisce al mini-intervento del suo recente decreto, tocca a noi riformisti mettere in evidenza i risultati del nostro impegno".
Da quando l'ex vicepresidente dell'Emilia-Romagna ha vinto le primarie, uno dei grandi interrogativi che ha percorso il Pd è come avrebbero potuto convivere insieme aree politiche e culturali così diverse, visto che il riformismo pragmatico aveva sostenuto in massa la mozione di Stefano Bonaccini. A fine aprile era stato Enrico Borghi, membro del Copasir, a salutare in maniera piuttosto improvvisa. "Il Pd di Schlein si sta spostando sempre più verso una linea massimalista", disse per giustificare l'addio. Tempo un paio di settimane, e anche l'economista Carlo Cottarelli ha annunciato di volersi dimettere da senatore: "E' innegabile (basta vedere la composizione della nuova segreteria) che l'elezione di Elly Schlein abbia spostato il Pd più lontano dalle idee liberaldemocratiche in cui credo", ha scritto in quell'occasione. Prima di lui c'erano stati i casi di Beppe Fioroni, Andrea Marcucci e Caterina Chinnici. Anche sugli accordi con la Libia, alcuni esponenti dem come Lia Quartapelle e Enzo Amendola non hanno facilmente digerito la linea Schlein della rimozione di quanto fatto dall'allora ministro Marco Minniti.
Ma allora la via maestra qual'è, quella della scissione? No, sembrano rispondere Ceccanti, Morando e Tonini. "sono da evitare come la peste sia le scissioni ad opera di minoranze sconfitte in regolari Congressi, sia le sollecitazioni ad accomodarsi fuori rivolte da maggioranze inconsapevoli ed arroganti a chi non condivide la linea politica e le scelte del leader pro-tempore". E allora, come se ne esce? Non rinunciando a dire la propria, e facendosi trovare pronti quando bisognerà dare il proprio contributo, spiegano ancora i tre. "È molto probabile che non si tratterà di una battaglia breve, accompagnata da risultati immediati. Anche per questo, è indispensabile che cominci subito, prima dell’estate, promuovendo un’occasione di confronto, aperto anche all’esterno del partito, per discutere, aggiornare e rilanciare un’ambiziosa agenda riformista".