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Editoriali

Tutti i limiti della riforma del Reddito di cittadinanza

Redazione

Definire burocraticamente gli “occupabili” non li farà diventare occupati. L'approccio utilizzato dal governo non tiene conto della realtà sociale ed istituzionale del paese

La fine del Reddito di cittadinanza ha prodotto proteste in diverse città, soprattutto del Mezzogiorno, dove si concentra la quota preponderante di persone che resteranno senza il sussidio. E’ certo che quando il governo Meloni decidendo di riformare il sussidio contro la povertà del governo Conte, scindendolo in Assegno di inclusione (Adi) e Supporto per la formazione (Sfl), abbia messo in conto le proteste delle centinaia di migliaia di percettori penalizzati. Il vero problema non è che la destra abbia deciso di riformare il Rdc, che aveva molte storture, ma il criterio con cui l’ha fatto. Il principio guida, condivisibile, è che chi è in difficoltà deve essere aiutato con un sussidio mentre chi è in grado di lavorare deve essere aiutato a trovare un lavoro. Il discrimine è, quindi, il concetto di “occupabilità”. Solo che la declinazione pratica non ha nulla a che vedere né con il principio né con le persone in carne e ossa. La definizione di “occupabile” è burocratica e anagrafica: chiunque sia compreso tra i 18 e i 59 anni e viva in un nucleo familiare senza minori, persone con almeno 60 anni e disabili. Insomma, il governo ha stabilito che per esempio un 40enne con un figlio minorenne non è occupabile, mentre lo è un 58enne con figli maggiorenni. Il primo riceverà l’Adi, che è il vecchio Rdc con un altro nome, mentre il secondo il Sfl, un sussidio ridotto da 350 euro per un solo anno che – affiancato a corsi di formazione – dovrebbe garantirgli un’occupazione. La riforma, quindi, basa il concetto di “occupabilità” più sulle caratteristiche anagrafiche della famiglia che sulle condizioni soggettive delle persone, che secondo tutti i dati disponibili hanno uno scarso livello di occupabilità. Per giunta la riforma, fa pieno affidamento su un sistema delle politiche attive inefficiente come prima. E’ un approccio che prescinde completamente dalla realtà sociale e istituzionale del paese. Il successo della riforma non si misurerà con la quantità di soldi “risparmiati”, ma con il numero di persone fuori dalla povertà dopo aver trovato un lavoro.

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