editoriali
L'anima complottista di Lollolbrigida
Il ministro dell'Agricoltura accusa gli Stati Uniti di occuparsi dello sfruttamento della minoranza musulmana degli uiguri nello Xinjiang per ragioni commerciali
Qualche giorno fa, al Forum in Masseria organizzato da Bruno Vespa alle Terme Di Saturnia, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha spiegato al paese perché l’Italia (insieme con la Germania) ha deciso di astenersi nell’importante voto sulla direttiva dell’Unione europea sulla due diligence di sostenibilità delle imprese – quella che dovrebbe imporre alle grandi aziende di controllare da chi comprano materie o servizi, sia dal punto di vista dell’impatto ambientale sia sul fatto che la catena produttiva non sia frutto di lavoro forzato. Lollo, il cognato d’Italia, l’ha spiegato facile, in pratica con le stesse parole di un funzionario del Partito comunista cinese: ha detto che a un certo punto non definito del tempo “l’ambasciatore americano a Roma si presenta e mi comincia a parlare della cosa degli uiguri”.
La cosa degli uiguri sarebbe lo sfruttamento della minoranza musulmana degli uiguri, e non solo, nella regione autonoma dello Xinjiang, dove secondo report e analisi ci sarebbero un milione di persone rinchiuse per motivi politici nei campi di rieducazione e di lavoro. “Mi dice: ‘Dobbiamo impedire...’”, spiega Lollo, ma lui non si fa fregare, perché lui ha capito il perché “si preoccupano così tanto”, ’sti ammerigani, del lavoro forzato degli uiguri.
E la risposta è il miglior assist al complottismo e alla disinformazione di Pechino, se solo qualcuno all’ambasciata cinese a Roma seguisse il Forum termale di Vespa: “Gli Stati Uniti sono i più grandi produttori di pomodori, i cinesi raddoppiano la produzione e sfruttano gli uiguri. Quindi evitare di importare dalla Cina significa lasciargli la fetta di mercato”. Una teoria un po’ strana, che accusa Washington di occuparsi di quel campo di concentramento a cielo aperto che è lo Xinjiang per ragioni commerciali, e ancora più grave perché espressa pubblicamente da un ministro del governo considerato il più atlantista e allineato alla politica della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.