L'editoriale del direttore
Perché il sostegno di Salvini a Trump è contro gli interessi dei suoi stessi elettori
Il leader della Lega, non contento di aver espresso la sua solidarietà a Putin, ora continua a congratularsi con il Tycoon. Una scelta che non solo è irresponsabile, ma pure controproducente verso gli italiani
Prima Trump, dopo gli italiani. Non contento di aver già espresso la sua solidarietà a Vladimir Putin per difendere il presidente russo da tutti coloro che incredibilmente considerano le elezioni russe una tragica pagliacciata, ieri Matteo Salvini ha scelto nuovamente di fissare un altro caposaldo della sua visione politica del mondo, esprimendo le sue più profonde congratulazioni a Donald Trump per via delle vittorie alle primarie repubblicane in Florida, Illinois, Ohio, Kansas e Arizona. “Il vento del cambiamento – ha detto Salvini – soffia forte in Europa e negli Stati Uniti”. Il leader della Lega, è noto, usa il suo sostegno a Trump anche per marcare una distanza dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che a differenza di Salvini tenta in tutti i modi di far sparire Trump dalla sua timeline. Ma il trumpismo di Salvini non è interessante da illuminare solo per evidenziare le distanze che esistono tra la premier e il suo vicepremier. È interessante da mettere a fuoco anche per un’altra ragione che riguarda l’autolesionismo di fondo di un partito, come la Lega, che non capisce quanto sia contraddittorio sventolare lo slogan “prima gli italiani” e sostenere poi chi, in nome del protezionismo, promette di mettere in circolo tossine pericolose anche per gli stessi italiani che la Lega vorrebbe proteggere.
Non pretendiamo certo che Salvini si renda conto di cosa voglia dire sostenere, a voce alta, un candidato come Trump che in caso di vittoria alle presidenziali ha già promesso, nell’ordine: (a) rastrellamenti, arresti e deportazioni di massa dei migranti illegali; (b) fine dei finanziamenti all’Ucraina; (c) indagini promosse dal dipartimento di Giustizia contro i suoi oppositori; (d) liberazione dei rivoltosi del 6 gennaio 2021. Tutto questo, forse, è pretendere troppo. Si potrebbe però suggerire a Salvini di chiedere alle categorie produttive a cui prova a parlare la Lega, quelle spesso evocate da Salvini con lunghi e interminabili elenchi durante i suoi comizi, cosa ne pensano del trumpismo.
Esempi? Facile. Gli artigiani, i commercianti, gli imprenditori, gli agricoltori. Per ciascuna di queste categorie, l’arrivo di Trump sarebbe una catastrofe per varie ragioni. L’Italia, come sa Salvini, è un paese manifatturiero ed esportatore ed è anche grazie alle esportazioni se l’Italia negli ultimi anni è riuscita a portare il pil sopra la media dell’Eurozona. Trump, al contrario, è un nemico giurato del commercio globale ed è evidente che in un mondo che si balcanizza, e che incentiva produzioni sempre più nazionali e sempre meno globali, le imprese abituate a trasformare la globalizzazione in un’opportunità soffrono. Nel 2019, quando l’Amministrazione Trump fece scattare una serie di misure protezionistiche contro l’Europa, quei dazi riguardarono anche 93 prodotti made in Italy e Salvini non farà fatica a ricordare che contro il metodo Trump scelsero di insorgere proprio le categorie alle quali cerca oggi di parlare la Lega: gli artigiani, gli imprenditori, i commercianti, gli agricoltori. “A causa della politica commerciale dell’Amministrazione Trump, il nostro patrimonio economico e di cultura alimentare è a rischio”, scrisse all’epoca Confartigianato. “Il cibo italiano rischia di essere il più colpito dai nuovi dazi nei confronti dell’Unione europea minacciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump con la black list che comprende i prodotti alimentari e le bevande simbolo del Made in Italy più esportate in America”, scrisse Coldiretti.
La storia in fondo è sempre la solita. L’alleanza tra i sovranisti mondiali può essere suggestiva sulla carta. Può aiutare ad alimentare l’algoritmo della sfida contro l’establishment mondiale. Ma quando dalla carta si passa al merito, non si potrà non avere la netta sensazione che un sovranista italiano che sostiene la corsa di un altro sovranista forse fa i propri interessi ma certamente fa poco gli interessi del proprio paese. Prima Trump, dopo gli italiani.