In Basilicata
Bardi vince grazie ai voti di Azione e Iv. Per Pd e M5S è stato un suicidio annunciato
L'ex governatore viene riconfermato anche e soprattutto per l'appoggio dell'ex Terzo Polo, mentre il campo largo registra l'ennesima sconfitta. Batosta per i grillini: dal 25 per cento delle scorse politiche passano a meno dell'8
Dopo aver dominato il dibattito politico per una settimana, ce n’eravamo quasi dimenticati. E invece eccola, la Basilicata. La regione nella quale il campo largo ha messo in atto il più spettacolare suicidio politico degli ultimi tempi. Quando mancano solo 41 sezioni da scrutinare delle 682 totali, il governatore uscente Vito Bardi, sostenuto dal centrodestra, è in vantaggio sul candidato di Pd e M5s, il dem presidente della provincia di Matera Piero Marrese, di oltre 14 punti percentuali (56,5 a 42,3). Vola al 13 per cento Forza Italia, ma i voti decisivi vengono dalle due liste centriste. Quella di Azione e Orgoglio lucano, la lista dei renziani, entrambe sopra il 7 per cento. Esultano Meloni, Tajani e Salvini. Mentre il generale ringrazia “Adesso al lavoro per i prossimi cinque anni”. Sconfitti Pd e M5s.
Per una settimana i due partiti avevano ingaggiato un improbabile braccio di ferro con Angelo Chiorazzo, il capo delle coop bianche lucane, sponsorizzato dall’ex ministro Roberto Speranza, che, dopo aver fatto impazzire la maionese campo largo, ha deciso di farsi da parte e restare lo stesso nella coalizione. Una partecipazioni inutile vista la sconfitta. Alla fine di questa storia, l’uomo decisivo sembra essere un altro. Uno di quelli che Schlein definirebbe “cacicchi”, l’ex presidente della regione proprio del Pd Marcello Pittella, oggi tutto fare di Azione in terra lucana. Il partito di Carlo Calenda risulta poco sotto l’8 per cento, in un testa a testa con la Lega per essere il terzo partito della coalizione a sostegno di Bardi. Schlein e Conte non hanno voluto Pittella, lo hanno escluso dal tavolo delle trattative, e alla fine lui è stato determinate. Senza cacicchi e gente capace di prendere voti sui territori, sembra un po’ la morale di questa storia, si sarà anche puri, ma governare diventa complicato. Soprattutto quando a votare è meno della metà degli aventi diritto, il 49,8 per cento (nel 2019 fu il 53,5). Il dato fa impressione, ma da queste parti non è un record: nel 2013, dopo la scandalo rimborsopoli, si recò alle urne solo il 47,6 per cento dei lucani. Esulta Forza Italia, che supera l’obiettivo europeo, il 10 per cento e riconferma il suo governatore, che per un breve periodo la Lega aveva provato a silurare. Bene anche Italia Viva, Orgolgio lucano, la lista messa a punto da Raffaella Paita con i consiglieri regionali ex Pd Luca Braia e Mario Polese supera il 7 per cento.
Per il campo largo invece si tratta dell’ennesima sconfitta. A bene vedere, trionfante fino a oggi solo in Sardegna. Da quando lo teorizzò Nicola Zingaretti nel 2020 invece le sconfitte sono state moltissime: Umbria, Calabria, Friuli, Molise e più recentemente Lombardia e Abruzzo. Il risultato? Sono lontani i tempi, era il 2015, in cui il Pd governava 15 delle 20 regioni italiane. Oggi ai dem restano l’Emilia-Romagna, la Toscana e le regioni del sud: la Campania di Vincenzo De Luca e la Puglia di Michele Emiliano che tanti problemi sta creando al centrosinistra in questi giorni (ieri è arrivata la mozione di sfiducia del centrodestra).
Infine il voto dimostra un altro fatto: ogni volta che il M5s va in coalizione perde voti. I grillini prendono meno dell'8 per cento, contro il 20 delle regionali del 2019, quando correvano da soli e il 25 per cento delle politiche del 2022. Surclassati anche dalla lista di Chiorazzo, Basilicata casa comune, che fa l'11 per cento.