Il caso
Migranti in Albania: slitta il via ai centri. Il Viminale attende la Difesa
Oltre ai centri è previsto anche un carcere. Ma il Genio dell'Esercito sta riscontrando più di un problema. Difficile l'inaugurazione prima delle Europee. E ora per FdI gli sbarchi non sono più una priorità
Il tempo è Tirana. L’ideale per il governo Meloni resta aprire i centri per i migranti in Albania prima delle europee. Un modo per rivendicare un risultato e cercare di capitalizzarlo nelle urne. Sull’altra sponda del mar Adriatico i lavori vanno a tutto birra: se ne occupa il Genio dell’esercito, il Viminale ha spicciato la parte burocratica destinata all’accoglienza. Tuttavia dalle parti del governo regna l’incertezza sulla data del taglio del nastro. O meglio in questo caso del filo spinato. L’ultima parte spetta alla Difesa, che nei mesi scorsi non è stata così entusiasta, come ha confessato il ministro Guido Crosetto ai suoi colleghi, di occuparsi anche di questa faccenda. Ma tant’è.
“Non oltre il 20 maggio”, era scritto nell’avviso per l’affidamento dei servizi di accoglienza pubblicato dalla prefettura di Roma il 21 marzo scorso e che sottolineava “ragioni di estrema urgenza”. I militari del Genio si sono però trovati di fronte ad un sito, quello di Gjader, fortemente degradato e i lavori per la messa in sicurezza dell’area e l’allestimento delle strutture si prolungheranno ancora di qualche mese. Slitta quindi la consegna al ministero dell’Interno che si sarebbe dovuto occupare del trasferimento dei migranti salvati in mare – in acque internazionali e soccorsi da autorità italiane – nei centri albanesi. L’idea nacque e prese consistenza lo scorso anno durante una breve vacanza della famiglia Meloni su invito del presidente Edi Rama, socialista in Europa ma molto in sintonia con la premier. Un’operazione dai costi elevatissimi: 653 milioni in cinque anni (con un aggravio di 250 milioni che si sarebbero risparmiati se i centri fossero stati costruiti in Italia evitando le trasferte dei funzionari ministeriali). Ci sono da costruire un hotspot per l’identificazione nel porto di Shengjin, a circa 70 chilometri a nord di Tirana, una struttura da 880 posti per l’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale a Gjader, in un sito dell’Aeronautica albanese; nella stessa area, poi, un Centro di permanenza per il rimpatrio da 144 posti.
Oltre ai centri per i migranti, come ha annunciato a sorpresa il capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, Laura Lega, alla festa di Fratelli d’Italia a Pescara, è prevista anche la costruzione di un carcere per applicare eventuali procedimenti di custodia cautelare nei confronti degli identificati. Dal governo minimizzano i ritardi spiegando che l’immigrazione, secondo i sondaggi interni di Fratelli d’Italia, non è al centro, in questo momento, degli assilli degli italiani. I dati sugli sbarchi, fonte Viminale, parlano di un grosso calo: - 54 per cento rispetto ai primi cinque mesi del 2023 (da 44.500 a 18mila). Con un tracollo delle partenze dalla Tunisia (da 25 mila a 8.400) e dalla Libia (da 18 mila a 9 mila). Diminuiscono anche gli sbarchi dei minori non accompagnati. L’anno scorso furono 18 mila, finora nel 2024 hanno superato di poco le 2 mila unità. Il ministero dell’Interno – sbrigate le procedure per l’appalto della gestione dell’accoglienza con la vittoria della cooperativa Medihospes – aspetta quello della Difesa. Rama attende Meloni. La campagna d’Albania stenta a decollare.