Silvio Berlusconi - foto Ansa

La novità

Silvio Berlusconi Editore, ovvero c'è ancora speranza per i liberali

Dopo tanti salvataggi di case editrici era anche giusto che il Cav. reclamasse un nome, anzi un cognome, accanto alle altre famiglie editoriali italiane

Non poteva esserci momento migliore per salutare, anzi brindare alla nascita della “Silvio Berlusconi Editore”, costola di Mondadori che avrà come obiettivo “la difesa del concetto di libertà, in tutte le sue varie declinazioni”, come dice Marina B., artefice dell’impresa. Anche l’acronimo suona bene. Nuove conversazioni tra editor, agenti, autori (“addio Feltrinelli, passo alla SBE!”); e poi Fiere di Francoforte, Saloni di Torino, “ci vediamo davanti allo stand della SBE”. Dopo tanti salvataggi di case editrici, era anche giusto che Berlusconi reclamasse un nome, anzi un cognome accanto alle grandi saghe, famiglie e dinastie editoriali italiane. Come un’impertinenza. Una piccola crepa nell’egemonia e nell’aristocrazia letteraria che lo ha sempre snobbato. Pazienza se qualcuno storcerà il naso. Del resto, non è nemmeno la prima SBE.
 


C’era già stata una “Silvio Berlusconi Editore” nel ’94, quella della mitologica “Biblioteca dell’utopia” con Moro, Machiavelli, Erasmo da Rotterdam, tridente culturale della “discesa in campo”. Ma ora si fa sul serio. Se Giulio Einaudi si specchiava nella sua temibile “Enciclopedia”, lo spirito del Cav. si ritroverà nella capacità funambolica e fusion di mettere insieme Tony Blair e Walter Siti (il primo con “L’arte di governare”, titolo d’esordio della casa editrice, in uscita il 5 settembre; Siti con “Ragazzi di carta velina”, sulla fragilità come paradigma per leggere i nuovi linguaggi e le nuove generazioni). E poi le “Lettere inglesi” di Voltaire, il monumentale, “Il passato di un’illusione” di François Furet, la “trilogia borghese” di McCloskey, storia della crescita economica occidentale, costruita non sul senso di colpa ma sull’eccezionalità dell’impresa, secondo la lezione del grande Sergio Ricossa. Si sa che da noi la cultura liberale è sempre stata in deficit. Un oggetto misterioso.
 

Una cosa carbonara, catacombale, tipo Renzi-Calenda alle europee. Strattonati fra l’idealismo crociano e il marxismo gramsciano ci siamo persi per strada tutta l’educazione alla libertà delle grandi democrazie. Tantissimo antifascismo, pochissimo antitotalitarismo. Tanto popolo e masse, poco individuo. Oggi che il pensiero liberale è in crisi un po’ ovunque, colpito alle radici, stordito, c’è davvero un grande lavoro da fare. Bisogna ripartire dai fondamentali. Dubitiamo che i professori universitari che s’incatenano con gli studenti faranno leggere nei loro corsi Furet o Ayn Rand o Raymond Aron (chiediamo subito una nuova edizione SBE dell’“Oppio degli intellettuali”). Però è un inizio. Un modo concreto per immaginare un’alternativa liberale. Se non altro per sparigliare le carte dell’offerta editoriale. E chissà magari vedremo anche uno SBE di Luciano Canfora. Sarebbe magnifico.