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Editoriali

Il decreto sulle liste d'attesa in sanità cambierà ben poco

Redazione

Le regioni non hanno torto. Cosa non va nel provvedimento promosso dal governo, accolto con freddezza dagli stessi operatori di settore 
 

Il decreto sulle liste d’attesa in sanità è legge. Il provvedimento, rimaneggiato più e più volte, è stato accolto con molta freddezza da parte degli operatori del settore e dalle stesse regioni arrivate a un passo dallo scontro istituzionale col governo. Nell’ordine, dapprima si è rischiata una plateale protesta dei medici a pochi giorni delle elezioni europee, scongiurata con due modifiche apportate in extremis prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Nel testo licenziato da Palazzo Chigi si prevedeva, nell’attesa del superamento del tetto di spesa per il personale sanitario, una immediata abolizione di parte del decreto Calabria. Con questa abolizione, gli effetti economici positivi della defiscalizzazione della libera professione in favore dell’azienda sarebbero stati autofinanziati dai dirigenti del ruolo sanitario in un tempo medio di due anni e pertanto sarebbe stato annullato il beneficio economico per la categoria. In sostanza la fiscalità agevolata delle prestazioni aggiuntive per lo smaltimento delle liste d’attesa sarebbe stata finanziata dallo stesso salario accessorio dei medici in una partita di giro, per non dire una presa in giro. A seguire c’è stata la protesta delle regioni che hanno duramente contestato il decreto. Per queste si sarebbe dovuto considerare che per quanto riguarda le risorse il decreto rinvia a quelle già stanziate nella precedente manovra. Ma queste, sottolineavano le regioni, “potrebbero essere già state utilizzate per l’attuazione dei propri Piani regionali di contenimento dei tempi di attesa, nel qual caso il decreto sarebbe privo di qualunque finanziamento”.

Altro nodo ritenuto imprescindibile era la richiesta di modifica dell’articolo 2. Veniva qui contestata un’eccessiva ingerenza del livello centrale nel controllo dell’operato delle Asl. Anche in questo caso c’è stato un dietrofront del governo e si è arrivati a un compromesso. Infine, ieri sono stati gli infermieri del Nursind ad alzare il livello della protesta proclamando lo stato di agitazione di tutto il personale del comparto, prefigurando lo sciopero in autunno. Non proprio un successo per il governo Meloni.

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