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Un messaggio di Napolitano a Mattarella sulla parola “sindaca”

"Scusate se insisto in una licenza: reagire alla trasformazione di dignitosi vocaboli in orribili appellativi". L'abisso linguistico da presidente a presidente

Redazione

Sergio Mattarella ne ha fatto una questione istituzionale. "Spero si possa ancora dire sindaca", ha detto il capo dello stato durante la Cerimonia del Ventaglio, che segue di qualche giorno l'emendamento della Lega (poi prontamente ritirato) sul divieto delle declinazioni femminili per le cariche negli atti pubblici. Eppure, nemmeno un decennio fa, la faccenda non sembrava un'eresia. A partire da Giorgio Napolitano. "Penso che Valeria (Fedelis, all'epoca ministro dell'Istruzione, ndr) non si dorrà se insisto in una licenza che mi sono preso da molto tempo: quella di reagire alla trasformazione di dignitosi vocaboli della lingua italiana nell'orribile appellativo di ministra o nell'abominevole appellativo di sindaca", sentenziava il predecessore di Mattarella.

 

 

Era il 2016, Napolitano aveva già terminato il suo secondo mandato da presidente della Repubblica e quel giorno stava ritirando un premio letterario alla presenza di alcuni rappresentanti delle istituzioni. Come andò a finire? Valeria Fedelis non si offese. Laura Boldrini, allora presidente della Camera, invece sì. È l'unica a protestare, mentre la sala applaude Napolitano. Al che il migliorista rispose: "Io continuerò a chiamarti signora presidente, come chiamavo signora presidente Nilde Iotti. E credo che alla mia età qualche licenza rispetto alle cose mi sia concessa". Ubi maior.

 

Più tardi a favor di microfoni Boldrini dirà semplicemente "di avere il massimo rispetto per il presidente Napolitano, ma la società cambia. E io credo che i nomi si debbano declinare. Convincerlo? Ha detto che non ci dobbiamo neanche provare, ma d'altronde siamo in democrazia". Ieri come oggi, si spera.