Editoriali
Un referendum contro il Titolo V
Flick, a capo del comitato, ce l’ha più con la sinistra che con la Lega. E al posto dell'abolizione dell'autonomia differenziata, il focus principale del referendum sembra essere quella mai digerita riforma costituzionale del 2001
Giovanni Maria Flick è stato ministro della Giustizia nel primo governo Prodi e fino al 2009 presidente della Corte Costituzionale. Da qualche settimana è presidente del comitato per i referendum contro l’autonomia differenziata. Figura emerita di giurista con cultura e visioni politiche saldamente radicate nell’area della sinistra riformista, ha rilasciato al Manifesto un’ampia intervista tutta condotta sul refrain preoccupato “qual è la posta in gioco?”, ma il cui tema principale è ovviamente l’autonomia differenziata approvata dal governo Meloni su impianto del leghista Roberto Calderoli. O per meglio dire dovrebbe essere il tema, visto che Flick è a capo del comitato che ne chiede l’abolizione. Ma letta con un po’ d’attenzione, l’intervista appare curiosa per un altro motivo. Della riforma in questione in pratica non si parla, se non per ribadire il pre-giudizio in base a cui “premierato e autonomia differenziata sono due questioni molto diverse ma si tengono per mano”. Si parla invece molto, e molto male, della riforma del Titolo V della Costituzione, che come noto fu approvato da un governo di sinistra.
“Anche chi si oppone al referendum”, dice Flick, riconosce “che la riforma del Titolo V voluta dal centro sinistra per contrastare le prospettive federaliste della Lega e fatta in gran velocità, è stata un disastro. Errare humanum est ma perseverare è ancor più preoccupante”. Se ne può trarre l’impressione, senza essere maliziosi, che per Flick, e per i molti che la pensano come lui, il vero nemico da abbattere con il referendum non sia tanto l’autonomia differenziata, con la possibilità di dare un colpo all’odiato governo Meloni, quanto invece il vecchio Titolo V. È questa memoria politica della sinistra da sottoporre a damnatio. Va da sé che tale condanna senza appello finisce per estendersi concettualmente a tutta una stagione di riformismo della sinistra negli anni scorsi, compreso il Jobs Act e altri tentativi spesso riusciti per ammodernare il paese. È davvero questa, la nuova battaglia della sinistra e del professor Flick?