cortocircuiti Nimby
Le insolubili contraddizioni degli ecologisti benaltristi
“100 per cento rinnovabili”, ma non nel mio giardino. È diverso per la Sardegna, dove la protesta di Carlìn Petrini viene respinta in blocco dal mondo ecologista, appoggiando invece l'appello dei vip contro l'eolico a Orvieto. È lo scontro tra ambiente e paesaggio, senza sapere che alternativa scegliere
Raccolgono ancora una volta altre cento firme gli “ecologisti del ma”. Sono quelli che dicono vogliamo sì l’ecologia, “ma ben altra è la soluzione”. Cento firme sono state raccolte in giugno da quelli che per frenare le emissioni di anidride carbonica vogliono sì energia a emissioni zero, “ma non quella nucleare”. E altre cento firme sono state collezionate da quelli che sì, l’eolico va fatto ma non qui, non certo a Orvieto – pil pro capite 22mila euro. Meglio in Sardegna nel Campidano – pil pro capite sui 15mila euro.
La settimana scorsa è stato spedito al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, un accorato appello firmato da 100 personalità del mondo dello spettacolo e della cultura affinché prendesse a cuore la contestazione contro il progetto di una centrale eolica da costruire vicino a Orvieto. L’appello ha il titolo “In difesa del codice dei beni culturali, per una transizione ecologica attenta alla salvaguardia del territorio”. L’uso della parola “territorio” è un segnale di fuffologia applicata, una red flag di ariafrittismo, ma non in questo caso. Le firme apposte sotto all’appello sono di prim’ordine. Eccone alcune, prese a caso dalla numero 10 alla numero 16: Dacia Maraini, Isabella Rossellini, Mario Tozzi, Massimo Osanna, Claudia Cardinale, Daria Bignardi, Mario Martone. Oppure dalla firma numero 25 alla firma numero 29: Stefano Bollani, Alessandro Barbero, Gabriele Salvatores, Alessandro Baricco, Vinicio Capossela. Non sono omonimi; sono proprio loro, quelli veri. Contestano il progetto della centrale eolica proposto dalla società elettrica della Renania Westfalia (Rwe sta per Rheinisch-Westfälisches Elektrizitätswerk).
Un anno fa il Consiglio dei ministri aveva risolto il dissidio tra i ministeri dell’Ambiente (favorevole) e della Cultura (contrario) approvando il progetto. . Si tratta di innalzare sette vistosi “mulini a vento” tra Orvieto e Castel Giorgio, 6 megawatt l’uno di potenza, alti al mozzo 115 metri e con uno sbraccio dell’elica pari a 170 metri di diametro. Dice l’appello: “Si tratta di un progetto decisamente fuori scala e affetto da un pericoloso gigantismo: basti pensare che le turbine eoliche sarebbero alte più di quattro volte il Duomo di Orvieto”.
E’ il problema contenuto nella natura stessa delle energie pulite. Le centrali possono essere realizzate là dove c’è la disponibilità della risorsa, sui poggi più ventosi, tagliando con una diga le vallate più piovose, ricoprendo di moduli di silicio le zone meglio soleggiate, perforando il giacimento geotermico con il soffione più intenso. Ma il difetto sociale più forte è il fatto che queste tecnologie devono raccogliere un’energia molto dispersa, poco concentrata. Devono catturare l’incatturabile: la luce, il vento, la pioggia. Per catturare un’energia dispersa e impalpabile gli impianti sono molto ingombranti. Molto. Una diga colossale di calcestruzzo trasforma una valle in un lago; oppure è il caso dei “mulini a vento” eolici e delle estensioni traslucide di silicio nero. Soprattutto nelle aree ad alta concentrazione di vip, la gente comincia ad arrabbiarsi sempre più forte a mano a mano che questi impianti a forte impatto di visibilità cambiano il paesaggio, e nel paesaggio si si identificano le comunità umane che lo popolano e la loro cultura. Non è un caso se ancora a Orvieto e Castel Giorgio i comitati nimby si erano opposti perfino alla geotermia e non è un caso se c’è chi propone di costruire un colossale elettrodotto sottomarino ad alta tensione dal Marocco, sono africani e c’è il sole, per portare elettricità fotovoltaica fino all’Inghilterra.
Da qualche anno le maggiori associazioni ambientaliste si sono divise; da una parte la Legambiente, il Wwf e Greenpeace spingono per le fonti rinnovabili e hanno esultato quando due anni fa la parola “ambiente” è entrata nella Costituzione; dall’altra parte Italia Nostra, gli Amici della Terra, Mountain Wilderness e altre associazioni chiedono la tutela del paesaggio, tutela che venne messa già dai padri costituenti nel 1948. E’ lo stesso paesaggio che vogliono tutelare i sardi, i quali si oppongono ai progetti rinnovabili sulla loro isola. Dicono che i progetti rinnovabili in Sardegna sono colonialismo del continente, sfruttamento che vuole fare profitto portando via ai sardi la ricchezza del vento e del sole. A differenza dell’appello dei vip per Orvieto, gli appelli dei sardi vengono respinti dal mondo ecologista come manifestazioni di arretratezza culturale. Si è formata l’idea che da una parte le cascine di Orvieto finemente ristrutturate con il Superbonus dei ricchi, dall’altra i pastori della Barbagia di Ollolai.
Non ci sono solamente l’appello firmato da cento fra cantanti e persone di cultura e dello spettacolo e le proteste dei sardi in sindrome d’assedio e di complotto del continente. Tre mesi fa cento fra scienziati ed ecologisti avevano promosso il “100 per cento rinnovabili network”. L’appello chiedeva energia a zero emissioni a patto che non fosse atomica: “Le rinnovabili sono in grado di soddisfare il 100 per cento del fabbisogno di energia, sia attuale sia dei prossimi anni”. Che cosa unisce i due appelli, uno contro l’energia a zero emissioni prodotta a Orvieto e l’altro contro l’energia a zero emissioni prodotta con il nucleare? I due appelli sono accomunati da due firme posate sotto entrambi i documenti, quella del divulgatore scientifico Mario Tozzi e quella del gastronomo Carlìn Petrini. Il 7 settembre il quotidiano La Nuova Sardegna dedicava al bravissimo conduttore e giornalista il titolo: “Mario Tozzi: la Sardegna è il luogo ideale per le rinnovabili”. Diverso il caso di Petrini. Da anni il fondatore di Slow Food si oppone alle fonti rinnovabili di energia. Ecco i titoli di alcuni suoi articoli pubblicati dal quotidiano La Repubblica: “Pannelli solari via dalle campagne” (17 aprile 2010); “No agli impianti sui terreni coltivabili” (10 febbraio 2011), “Anche l’energia pulita può inquinare” (9 maggio 2012). Sintesi. Ecologia sì, ma ben altra è la soluzione. Il fotovoltaico va fatto in Africa Settentrionale, che tunisini e marocchini hanno il sole e il ritmo nel sangue. E l’eolico in Sardegna, che i sardi hanno il vento e il ritmo nel sangue.