Giancarlo Giorgetti (foto LaPresse)

editoriali

Tasse nascoste nella manovra

Redazione

La mini stangata sul digitale del governo ha una spiegazione: il luddismo 

Vero è che bisogna fare sacrifici per tenere in ordine i conti pubblici, ma l’estensione, a partire dal 2025, dalla web tax dalle multinazionali a tutte le imprese che realizzano servizi digitali in Italia rischia di avere un effetto recessivo sull’economia di gran lunga superiore ai 51 milioni che lo stato conta di incassare. Secondo quanto spiegano sia Netcomm, il consorzio del commercio digitale che conta 480 iscritti, sia la Fieg, la Federazione italiana editori di giornali, la decisione del governo Meloni di abbattere le soglie minime di fatturato (750 milioni a livello globale e almeno 5,5 milioni realizzati in Italia) che finora hanno fatto in modo che solo i colossi del web come Google, Amazon e Meta pagassero un’imposta pari al 3 per cento sul valore dei ricavi, finirà sì con l’estendere la platea dei contribuenti, ma potrebbe innescare un tale impatto negativo a cascata lungo tutto la catena del valore digitale da diventare controproducente. È un provvedimento che riflette un’idea dell’economia superata, spiega in sintesi al Foglio Roberto Liscia, presidente di Netcomm, basata sulla separazione tra due mondi, reale e digitale, mentre oggi tutte le imprese hanno in qualche modo a che fare con i servizi internet e quelle editoriali, per esempio, rischiano di subire una duplice imposizione, a monte e a valle.

 

Il risultato, come spiega la Fieg che auspica un intervento correttivo del Parlamento prima che la norma venga approvata entro il 31 dicembre, è che ci sarà una disparità di trattamento fiscale a vantaggio dei colossi globali del web. Quello che si chiede è rivedere l’ambito di applicazione della tassazione stessa spostandola dai ricavi ai profitti in modo tale che le più colpite risultino essere le grandi imprese altamente redditizie e non le piccole e medie aziende o le start up che spesso operano con margini ristretti o addirittura in perdita. Insomma, giocarsi lo sviluppo digitale dell’Italia, che sta ancora recuperando il gap con i paesi europei, per una manciata di milioni è un gioco che potrebbe non valere la candela.

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