Foto LaPresse

Stessa piazza, stesso bar, cinque anni dopo

Bologna e la nostalgia sardina, Mattia Santori ricorda le folle "no-violenza"

Marianna Rizzini

Il movimento spontaneo e pacifico del 2019, e gli slogan violenti e novecenteschi di oggi. Per il consigliere comunale bolognese "si spreca più energia a difendere i poteri interni che ad allargare la partecipazione”

Stessa storia, stesso posto, stesso bar, cantavano gli 883, e lui, Mattia Santori, co-fondatore delle Sardine e ora consigliere comunale a Bologna nella giunta Lepore, è ancora lì, cinque anni dopo: era l’autunno del 2019 e il movimento spontaneo antipopulista, sceso in piazza senza bandiere in sostegno del centrosinistra, prima delle regionali del 2020, aveva mobilitato migliaia di persone, a Bologna e in varie città d’Italia e d’Europa. Oggi Santori, trentaquattrenne, è entrato nel Pd e in Comune. Sono cambiati i tempi, è cambiato il lessico e a destra e a sinistra sono tornati slogan del passato, tra antagonisti “zecche rosse” e militanti di destra “camicie nere”.

“La lezione delle sardine è servita poco”, dice Santori: “Cinque anni fa Salvini dominava la politica italiana in maniera incontrastata, con modi e toni palesemente populisti, e la Lega era data in vantaggio in Emilia, a differenza di ora. E noi, tra amici, con Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni e Roberto Morotti, abbiamo sentito l’urgenza di fare qualcosa, evidentemente comune a molti. C’era una miccia che aspettava solo di essere accesa: abbiamo dato rappresentanza a tante persone che non si ritrovavano nelle parole d’ordine populiste e sovraniste, ma neanche in quelle della sinistra antagonista. Non cercavamo lo scontro frontale; volevamo offrire un’alternativa moderata, pacifica e creativa. Oggi sovranisti e populisti, in Emilia, fanno meno paura dal punto di vista elettorale, ma io vedo un rischio assuefazione a un modo di fare politica che non mi piace. E ora che la destra è al governo, mi colpisce la mancanza di galateo istituzionale. A Bologna c’è chi dice che un livello così teso nei rapporti tra giunta e governo nazionale c’era soltanto quando avevamo il Pci in giunta e la Dc al governo”. Ritorno al Novecento? “Il clima è preoccupante, al di là dello scambio di accuse ‘zecche rosse, camicie nere’. E non aiuta, anzi, se la presidente del Consiglio si rivolge al sindaco dicendo di non andarle poi a chiedere gli aiuti per l’alluvione, visto che la tratta da fascista’”.

 

                

 

Anche a sinistra serve forse uno sforzo nel lessico e nei modi, viste alcune frasi e alcune piazze? “Oggi, in un’epoca in cui l’astensionismo dilaga e la partecipazione democratica è in crisi, tutti  – dai movimenti extraparlamentari alla sinistra radicale fino a partiti – dovrebbero fare uno sforzo per cercare di coinvolgere, ma rigettando la tensione. Uno dei nostri slogan era nessuna violenza, nessuna bandiera, e infatti le piazze erano piene di bambini. Le famiglie sapevano che non ci sarebbero stati scontri. Guarda caso eravamo in 15000; al corteo antifascista dell’altro giorno erano in 1500. L’arrivo di Elly Schlein alla guida del Pd è stato importante anche per il modo pacato di comunicare, ma serve ora un grande sforzo di tutti”. Esiste un antidoto? “Quello che noi capimmo, allora, è che il velo d’indifferenza era stato spazzato via anche perché noi eravamo persone sconosciute, trentenni senza un ruolo definito in politica che univano le generazioni parlando sia ai quaranta-cinquantenni sia ai ventenni. Ricordo bene l’ultima grande manifestazione prima del voto, il 19 gennaio del 2020, in piazza VIII Agosto, a Bologna, alla presenza di circa 40000 persone: sette ore di arte e musica in cui la politica è stata protagonista, ma in cui non era visto nessun politico. Si smetta di far parlare le solite persone”. Come? “Purtroppo nei partiti che conosciamo”, dice Santori, “si spreca più energia a difendere i poteri interni che ad allargare la partecipazione. Parlo anche per esperienza: quando sono entrato nel Pd, in epoca pre-Schlein, non sono stato accolto così bene. Ma se crei barriere all’ingresso, con l’idea ‘meglio se restiamo in pochi’, fuori passa il messaggio che tu, militante o cittadino, sei utile solo se porti acqua al mulino del leader di turno”. Che fare per scongiurare pericoli più gravi, vedi in tema di antisemitismo? “Anche in questo caso lo sforzo deve essere di abbandonare le sirene della tensione, e tornare ad argomentare la complessità”. 

 

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.