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La pronuncia

Ecco i sette punti incostituzionali dell'autonomia differenziata

Redazione

La Corte costituzionale ha esaminato i ricorsi di Puglia, Toscana, Sardegna e Campania: la questione di costituzionalità dell'intera norma non è fondata, ma i giudici ritengono che sia incostituzionale in alcune parti. Esulta l'opposizione: “Se ne facciano una ragione: la secessione non ci sarà”

La Corte costituzionale si è pronunciata in merito ai ricorsi presentati da Puglia, Toscana, Sardegna e Campania contro la legge sull’autonomia differenziata, la n. 86 del 2024. In attesa del deposito della sentenza, l’ufficio comunicazione e stampa della Consulta fa sapere in una nota che i giudici hanno ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie, considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.

Perno delle argomentazioni del collegio è l’art. 116, terzo comma della Costituzione, che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia: “Deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”, dicono i giudici, la quale riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, “i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”. Dunque, prosegue la nota “l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”

 

I sette punti di incostituzionalità

La Consulta ha ravvisato l’incostituzionalità di sette profili della legge. Primo fra tutti, la possibilità che possano trasferirsi materie o ambiti di materie attraverso l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione, laddove la Corte invece ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni.

Incostituzionale è anche il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (lep) priva di idonei criteri direttivi, in quanto “la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”. Viene bocciata anche la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio a determinare l’aggiornamento dei lep, così come anche “il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei lep con dpcm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i Lep”.

I giudici ritengono che vada contro la Costituzione anche la possibilità di utilizzare decreti interministeriali per modificare le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito. Proprio perchè, in base a questa previsione, finirebbero per “essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”. 

Respinte dalla Corte anche “la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”, insieme all’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma della costituzione, alle regioni a statuto speciale. Le quali, invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.

La Corte ha invece interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge.

La Corte, conclude la nota stampa, "resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale”.

 

Le prime reazioni della politica

“La decisione della Corte costituzionale di ritenere illegittime alcune disposizioni sull'autonomia differenziata è una buona notizia”.  Così commenta la pronuncia Angelo Bonelli, portavoce di Europa Verde e parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra, rivendicando di aver “sempre sostenuto che il problema risiedeva nell'illegittimità di alcune norme sull'autonomia differenziata, che rischiavano di portare l'Italia verso frammentazione e disuguaglianze sociali in settori fondamentali come la sanità, la scuola e l'energia”. Per il parlamentare di Avs, “la sentenza è una demolizione della della legge Calderoli e lo stop del mercimonio politico tra Meloni e Salvini, che scambiano il premierato con l'autonomia differenziata. L'Italia non è in vendita e auspico che i giudici della Corte costituzionale siano rispettati e non attaccati come accaduto con i giudici di Roma definiti comunisti da Salvini”. 

Esulta anche Toni Ricciardi, Vice-presidente del gruppo Pd e relatore di minoranza sull'autonomia differenziata alla Camera: "Gliel'avevamo detto in tutti i modi che così non poteva funzionare, non si può escludere il parlamento e soprattutto non si può mettere in pericolo l'unità del paese. Se ne facciano una ragione: la secessione non ci sarà