Comunicazione e mistificazione
Più che diventare grande, l'Italia deve diventare adulta
Nel suo video autoprodotto sulla vicenda Almasri, Giorgia Meloni sceglie di buttarla in caciara fin dall’esordio, in un'infilata di strafalcioni giuridici e istituzionali. L'esigenza di avere un rapporto più disteso con la verità, in un paese che ha nell’individuazione del capro espiatorio la sua vera religione nazionale
In attesa di vedere se Meloni riuscirà a fare “grande” l’Italia, ci accontenteremmo che contribuisse a farla diventare “adulta”: avere un più disteso e corretto rapporto con la verità nella sua comunicazione con l’opinione pubblica andrebbe esattamente in questa direzione. Viceversa, pasticciare la verità, impiastricciarla con bugie, ricorrere alla caciara sarà pure in linea con il trumpismo dilagante, ma certamente non aiuta. Oltretutto risulta irrispettoso tanto delle regole della democrazia e delle sue istituzioni quanto dell’intelligenza degli italiani e, ovviamente, non concorre a far riconoscere all’Italia il ruolo che meriterebbe sul piano internazionale (uno dei refrain della propaganda governativa).
Sulla penosa gestione della vicenda Almasri i fatti sono noti e non li ricapitolo qui per brevità. La questione, a mio avviso, può essere inquadrata sotto due aspetti principali, collegati tra loro ma da distinguere in termini di analisi: uno riguarda la sostanza, l’altro la forma (ma ricordo che in materia giuridica “la forma è sostanza” e non mero ammennicolo). Rispetto alla sostanza, la questione è piuttosto semplice. La decisione di rimandare il torturatore libico al suo paese, sottraendolo così alla giurisdizione della Corte penale internazionale che l’Italia riconosce, poteva essere rivendicata ricorrendo alla ragione di stato, una scelta che ne avrebbe chiarito il contenuto di doloroso atto politico, così necessario agli occhi del governo da costringerlo a venir meno ai propri obblighi verso la Corte. Questo non avrebbe posto al riparo dall’accusa di violare un trattato liberamente sottoscritto dall’Italia, ma avrebbe esplicitato ciò di cui tutte le parti politiche sono sempre state a conoscenza. Ovvero che gli accordi con la Libia, attraverso i quali ai tempi del governo Gentiloni, si riuscì a limitare grandemente l’escalation degli sbarchi, non a caso poi sostenuti e rinnovati da tutti i governi e da tutti i parlamenti, funzionano proprio perché sottoscritti e implementati da figuri del calibro di Almasri. Nessuna delle forze politiche che hanno ripetutamente sostenuto quegli accordi avrebbe potuto dire nulla. Di qui il ricatto, l’unico di cui è lecito parlare, al quale è sottoposta l’Italia e al quale non sa come sfuggire (come l’Europa, del resto, che il prezzo a Erdogan lo paga da anni e pubblicamente).
In termini di forma e di stile, nulla di questo è mai avvenuto, né da parte del Guardasigilli, prima, né da parte della presidente del Consiglio, poi. Si è preferito inizialmente addossare la responsabilità della non esecuzione del mandato di arresto alla magistratura che non avrebbe notificato al ministro Nordio la richiesta di confermare l’arresto eseguito dalla polizia (affermazione smentita dai fatti) e, successivamente, una volta che sulla vicenda era stato presentato un esposto dall’avvocato Li Gotti, si è provato ad accreditare la narrazione che fin dall’inizio si fosse adottato “a testa alta” – e quindi consapevolmente si deve dedurre – un comportamento orientato solo a garantire la sicurezza nazionale. Ma se così fosse stato, perché il maldestro tentativo di Meloni, nel comunicato di Gedda, di buttare la colpa della liberazione del “generale” libico sui soliti magistrati inetti e cialtroni? Se quella decisione era figlia di una grave e ponderata valutazione politica, di cui ci si assume fieramente la responsabilità, che senso aveva cercare di dissimularla dietro l’ignavia della magistratura? Nessuno, appunto.
A meno che le cose non stiano diversamente, e la presidente del Consiglio, con il tempismo tattico che tutti le riconoscono, non abbia pensato di poter cogliere al volo la palla offertagli dalla lettera con cui il procuratore generale di Roma, Francesco Lo Voi, la informava di un avviso di indagine per peculato e favoreggiamento mentre trasmetteva gli atti al competente Tribunale dei ministri. Nel video autoprodotto e trasmesso via social, Giorgia Meloni sceglieva di buttarla in caciara fin dall’esordio, parlando di un (inesistente) “avviso di garanzia” che adombrava il frutto della volontà persecutoria del procuratore Lo Voi (“lo stesso del processo a Salvini”), per poi insinuare una poca rispettabilità dell’avvocato Li Gotti (in quanto “difensore di Buscetta”, il più determinante dei pentiti di Mafia, sulla cui testimonianza Falcone imbastì il maxiprocesso), dimenticando che persino il peggior criminale ha un diritto incomprimibile alla tutela legale, con l’apparente scopo di screditare la figura del denunciante per inficiarne surrettiziamente la credibilità degli argomenti.
Dopo questa infilata di strafalcioni giuridici e istituzionali, che è difficile pensare solo figli della foga e del carattere dell’onorevole Meloni, lei stessa concludeva che sarebbe “andata avanti”, senza lasciarsi “intimidire o ricattare” pur di “difendere la sicurezza degli italiani”. Il video tirava in ballo anche la Corte penale internazionale, responsabile di aver emesso il mandato di cattura nei confronti del torturatore libico solo quando Almasri si trovava sul territorio italiano. Ovvero dopo diverse settimane che i suoi movimenti venivano monitorati.
La questione è stata tra quelle più riprese dai diversi colonnelli, caporali e soldati della compatta maggioranza di governo e dai soliti giornali fiancheggiatori, che hanno gridato non solo al complotto della magistratura italiana (vil razza dannata!), pronta a commettere ogni nequizia pur di opporsi alla separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti (nei fatti già ampiamente prassi). Questa volta si trattava di complotto internazionale ordito contro il governo Meloni, che coinvolgeva la Corte penale ma anche le autorità della Repubblica federale tedesca. Insomma, il “grande Gomblotto”, se l’espressione vi ricorda qualcosa o qualcuno. Ed ecco così individuati i possibili ricattatori, nemici interni ed esterni della grandezza italica.
Il sospetto che viene è invece che proprio la presidente Meloni, con la sua scelta di drammatizzare, mistificare e politicizzare l’avviso di indagine nel suo video per i social, abbia scelto di montare un caso inesistente per coprire la malaccorta e infingarda gestione della vicenda Almasri e rinfocolare la polemica con la magistratura. Che per questioni di spicciola politica domestica si coinvolgano importanti istituzioni internazionali e governi alleati non aiuta certo a conferire status internazionale all’Italia nè a far diventare adulto un paese che, tradizionalmente, fatica a fare i conti con la realtà, ad accettare il peso delle scomode verità, le conseguenze dei propri errori e le pesanti responsabilità derivanti dall’adesione ai trattati internazionali. Un paese che ha nell’individuazione del capro espiatorio la vera religione nazionale. Ma questo è anche il paese in cui la tiktoker Rita De Crescenzo, star della rete e neo-regina del trash, propone uno stile di comunicazione di così straordinario successo da mietere proseliti anche dalle parti di Palazzo Chigi.