Il discorso

Draghi: “L'Ue sarà lasciata sola a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa"

Redazione

Intelligenza artificiale, prezzi del gas e dazi americani: solo se unita l’Ue può vincere tutte queste sfide. La risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte. L’intervento dell'ex presidente del Consiglio al Parlamento europeo

Pubblichiamo l’intervento dell’ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, oggi al Parlamento europeo.


E’ un vero piacere tornare qui al Parlamento europeo per discutere il seguito del rapporto sulla competitività dell’Europa. Il contributo dei rappresentanti eletti è stato fondamentale nel processo di preparazione del rapporto, e molti membri del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali mi hanno contattato dopo la sua pubblicazione. Le vostre reazioni sono state preziose per   perfezionare le proposte e  dare impulso al cambiamento. Il vostro impegno sottolinea la forza delle democrazie europee e la necessità che tutti gli attori lavorino insieme per trasformare l’Europa. Dalla pubblicazione del rapporto, i cambiamenti avvenuti sono ampiamente in linea con le tendenze delineate. Ma il senso di urgenza di intraprendere il cambiamento radicale auspicato dal rapporto è diventato ancora più forte.

In primo luogo, il ritmo dei progressi nell’intelligenza artificiale è accelerato rapidamente. I modelli all’avanguardia hanno raggiunto quasi il 90 per cento di accuratezza nei test di riferimento per il ragionamento scientifico, superando i punteggi degli esperti umani. Inoltre, i modelli sono diventati molto più efficienti: i costi di addestramento sono diminuiti di un fattore dieci e quelli di inferenza di un fattore venti. Per ora, la maggior parte dei progressi si sta verificando al di fuori dell’Europa. Otto degli attuali dieci modelli linguistici di grandi dimensioni sono stati sviluppati negli Stati Uniti, mentre gli altri due provengono dalla Cina.   Ogni giorno di ritardo, la frontiera tecnologica si allontana da noi, ma il calo dei costi è anche un’opportunità per recuperare più velocemente. 

In secondo luogo, i prezzi del gas naturale rimangono altamente volatili, con un aumento di circa il 40 per cento da settembre, e i margini sulle importazioni di Gnl dagli Stati Uniti sono aumentati in modo significativo dallo scorso anno. Anche i prezzi dell’energia elettrica sono generalmente aumentati in tutti i paesi e sono ancora due o tre volte superiori a quelli degli Stati Uniti. E abbiamo visto il tipo di tensioni interne che potrebbero sorgere se non agissimo con urgenza per affrontare le sfide create dalla transizione energetica. Ad esempio, durante la grave dunkelflaute del dicembre dello scorso anno – quando l’energia solare ed eolica è scesa quasi a zero – i prezzi dell’energia elettrica in Germania sono aumentati di oltre dieci volte rispetto alla media annuale. Ciò ha a sua volta provocato forti aumenti di prezzo in Scandinavia, con i paesi che hanno dovuto esportare energia per colmare il divario, inducendo a loro volta alcuni di essi a prendere in considerazione la possibilità di rinviare i progetti di interconnessione. Parallelamente, le crescenti minacce alle infrastrutture sottomarine critiche evidenziano l’imperativo di sicurezza per sviluppare e proteggere le nostre reti. 

In terzo luogo, quando è stato redatto il rapporto, il principale tema geopolitico  era l’ascesa della Cina. Ora, nei prossimi mesi l’Ue dovrà affrontare i dazi imposti dalla nuova Amministrazione statunitense, che ostacoleranno l’accesso al nostro principale mercato di esportazione. Inoltre, l’aumento dei dazi statunitensi sulla Cina riorienterà l’eccesso di capacità produttiva cinese verso l’Europa, colpendo ulteriormente le imprese europee. Infatti, le grandi aziende dell’Ue sono più preoccupate di questo effetto che della perdita di accesso al mercato statunitense. Potremmo anche trovarci di fronte a politiche concepite per attrarre le aziende europee a produrre di più negli Stati Uniti, basate su tasse più basse, energia più economica e deregolamentazione. L’espansione della capacità industriale negli Stati Uniti è una parte fondamentale del piano del governo per garantire che i dazi non siano inflazionistico. E  se le recenti dichiarazioni delineano il nostro futuro, possiamo aspettarci di essere lasciati sostanzialmente soli a garantire la sicurezza in Ucraina e in Europa stessa.

Per far fronte a queste sfide, è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre più come se fossimo un unico stato. La complessità della risposta politica che coinvolge la ricerca, l’industria, il commercio e la finanza richiederà un livello di coordinamento senza precedenti fra tutti gli attori: governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo. La risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte, visto che l’economia europea è stagnante mentre gran parte del mondo cresce. La risposta deve essere proporzionata all’entità delle sfide. E deve essere focalizzata sui settori che guideranno ulteriormente la crescita. Velocità, scala e intensità saranno essenziali. Dobbiamo creare le condizioni affinché le aziende innovative crescano in Europa piuttosto che rimanere piccole o trasferirsi negli Stati Uniti. Ciò significa abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sull’equity. Spesso siamo il nostro peggior nemico in questo senso. Abbiamo un mercato interno di dimensioni simili a quello degli Stati Uniti. Abbiamo il potenziale per agire su scala. Ma il Fondo monetario internazionale stima che le nostre barriere interne siano equivalenti a una tariffa di circa il 45 per cento per il settore manifatturiero e del 110 per cento per i servizi. Inoltre, abbiamo scelto un approccio normativo che ha privilegiato la precauzione rispetto all’innovazione, soprattutto nel settore digitale. Ad esempio, si stima che il Gdpr abbia aumentato i costi dei dati del 20 per cento per le aziende dell’Ue. 

In Europa abbiamo anche molti risparmi che potremmo utilizzare per finanziare l’innovazione. Ma, a parte alcune eccezioni, i nostri paesi si affidano per lo più ai prestiti bancari, che in genere non sono adatti a questo scopo. Questo ci porta a investire oltre 300 miliardi di euro di risparmi all’estero ogni anno perché, qui mancano le opportunità di investimento. Dobbiamo aiutare le nostre aziende leader a recuperare il ritardo nella corsa all’IA, convogliando maggiori investimenti nelle infrastrutture informatiche e nelle reti digitali. L’Iniziativa recentemente annunciata sugli “EU AI Champions”  è un buon esempio di come il settore pubblico e quello privato possano lavorare insieme per contribuire a colmare più rapidamente il divario di innovazione.

Se agiamo con decisione e rendiamo l’Europa un luogo attraente per l’innovazione, abbiamo l’opportunità di invertire la fuga di cervelli che ha portato i nostri migliori scienziati oltreoceano. Il rapporto individua diversi modi per espandere la nostra capacità di ricerca e, se lo faremo, la nostra tradizione di libertà accademica e l’assenza di orientamento culturale nei finanziamenti governativi potranno diventare il nostro vantaggio comparativo.  Successivamente, dobbiamo ridurre i prezzi dell’energia. Questo è diventato un imperativo non solo per le industrie tradizionali, ma anche per le tecnologie avanzate. Si stima che il consumo energetico dei data center in Europa sarà più che triplicato entro la fine del decennio. Ma è anche sempre più chiaro che la decarbonizzazione stessa può essere sostenibile solo se i suoi benefici vengono anticipati. Il rapporto individua una serie di ragioni dietro gli alti prezzi dell’energia in Europa, oltre al fatto che l’Ue non è un grande produttore di gas naturale: il limitato coordinamento dell’approvvigionamento di gas naturale, il funzionamento del mercato dell’energia, i ritardi nell’installazione di capacità rinnovabili, le reti poco sviluppate, l’elevata tassazione e i margini finanziari. Questi e altri fattori sono tutti di nostra competenza e quindi possono essere cambiati se abbiamo la volontà di farlo. Il rapporto propone diverse misure a questo proposito: la riforma del mercato dell’energia, una maggiore trasparenza nel commercio dell’energia, un uso più esteso dei contratti di fornitura a lungo termine e degli acquisti a lungo termine di gas naturale, nonché investimenti massicci nelle reti e nelle interconnessioni.

Inoltre, non solo richiede un’installazione più rapida delle fonti rinnovabili, ma anche investimenti nella generazione di base pulita   e in soluzioni di flessibilità a cui attingere quando le fonti rinnovabili non generano energia. Allo stesso tempo, dobbiamo garantire condizioni di parità per il nostro settore innovativo delle tecnologie pulite, in modo che possa beneficiare delle opportunità della transizione. La decarbonizzazione non può comportare la perdita di posti di lavoro nel settore green, perché le imprese dei paesi con maggiori sovvenzioni statali possono conquistare quote di mercato. 

Infine, il rapporto affronta diverse vulnerabilità dell’economia europea, una delle quali è il nostro sistema di difesa, dove la frammentazione della capacità industriale lungo linee nazionali impedisce di raggiungere la scala necessaria. Anche se   collettivamente siamo il terzo  maggiore investitore in difesa al mondo, non saremmo in grado di soddisfare un aumento della spesa per la difesa attraverso la nostra capacità produttiva. I nostri sistemi di difesa nazionali non sono né interoperabili né standardizzati in alcune parti chiave della catena di approvvigionamento. Questo è uno dei tanti esempi in cui l’Ue è meno della somma delle sue parti. Oltre ad agire per modernizzare l’economia europea, dobbiamo gestire la transizione per le nostre industrie tradizionali. Queste industrie rimangono importanti per l’Europa. Dal 2012, i dieci settori che hanno registrato la crescita più rapida della produttività sono quasi interamente settori “medtech”  come l’industria automobilistica e la meccanica. Il settore manifatturiero impiega inoltre circa 30 milioni di persone, contro i 13 milioni degli Stati Uniti.

In un mondo in cui le relazioni geopolitiche si evolvono e il protezionismo aumenta, è diventato strategico mantenere industrie come quella siderurgica e chimica, che forniscono input all’intera economia e sono fondamentali per la difesa. Il sostegno alle industrie tradizionali viene spesso rappresentato come una scelta binaria. Possiamo scegliere di lasciarle andare e permettere alle risorse di spostarsi verso nuovi settori; oppure possiamo sacrificare lo sviluppo di nuove tecnologie e, in ultima analisi, rassegnarci a una crescita permanentemente bassa. Ma la scelta non deve essere così netta. Se realizziamo le riforme necessarie per rendere l’Europa più innovativa, molti dei compromessi tra questi obiettivi si attenueranno. Ad esempio, se sfruttiamo le economie di scala del mercato dell’Ue e integriamo il nostro mercato dell’energia, i costi di produzione si abbasseranno ovunque. Saremo quindi in una posizione migliore per gestire gli eventuali effetti collaterali, ad esempio, della fornitura di energia a basso costo alle industrie ad alta intensità energetica. Se offriamo un tasso di rendimento più competitivo in Europa e mercati dei capitali più efficienti, i nostri risparmi resteranno naturalmente all’interno dei nostri confini. Avremo quindi un bacino di capitali privati più ampio per finanziare sia le nuove tecnologie sia le industrie consolidate che mantengono un vantaggio competitivo.Se eliminiamo le nostre barriere interne e aumentiamo la crescita della produttività, aumenteremo il nostro spazio fiscale effettivo. In questo modo avremo una maggiore capacità di finanziare progetti che servono a un bene pubblico ma che il settore privato difficilmente toccherebbe, come la decarbonizzazione dell’industria pesante. Ad esempio, il rapporto stima che un aumento della produttività totale dei fattori di appena il due per cento nei prossimi dieci anni ridurrebbe di un terzo i costi fiscali che i governi devono sostenere per finanziare gli investimenti necessari. Allo stesso tempo, l’eliminazione delle barriere interne aumenterà i moltiplicatori fiscali di questi investimenti. E’ dimostrato che i moltiplicatori fiscali diminuiscono con l’apertura commerciale, poiché una parte dell’impulso fiscale sarà soddisfatta da un aumento delle importazioni. L’economia europea è molto aperta al commercio – più del doppio degli Stati Uniti – e questo è un sintomo delle nostre elevate barriere interne. Poiché l’espansione del nostro mercato interno è di fatto limitata, le imprese dell’Ue hanno cercato all’estero opportunità di crescita, mentre le importazioni sono diventate relativamente più attraenti grazie alla riduzione delle tariffe esterne. Ma se dovessimo abbassare queste barriere interne, assisteremmo a un forte riorientamento della domanda verso il nostro mercato. A quel punto l’apertura commerciale diminuirebbe naturalmente e la politica fiscale diventerebbe proporzionalmente più potente.

La Commissione ha recentemente lanciato la sua Bussola della competitività, che abbraccia questa agenda. Gli obiettivi della Bussola sono pienamente in linea con le raccomandazioni del rapporto e segnalano il necessario riorientamento delle principali politiche europee. E’ ora importante che la Commissione riceva tutto il sostegno necessario sia per l’attuazione del programma che per il suo finanziamento. Il fabbisogno finanziario è enorme: una stima prudente indica tra i 750-800 miliardi di euro all’anno. Per aumentare la capacità di finanziamento, la Commissione propone un’apprezzabile razionalizzazione degli strumenti di finanziamento dell’Ue. Ma non sono previsti nuovi fondi europei. Il metodo proposto è quello di combinare gli strumenti europei con un uso più flessibile degli aiuti di stato coordinati da un nuovo strumento europeo. Ci auguriamo che questa struttura fornisca il sostegno finanziario necessario, ma il successo dipenderà dal fatto che gli stati membri utilizzino lo spazio fiscale a loro disposizione e siano disposti ad agire all’interno di un quadro europeo.

La Commissione è solo uno degli  attori. Può fare molto nelle sue aree di competenza esclusiva, come il commercio e la politica di concorrenza. Ma non può agire da sola. Il Parlamento europeo, i parlamenti nazionali e i governi nazionali devono essere al suo fianco.  Il Parlamento ha un ruolo fondamentale nel rendere più rapide le decisioni dell’Ue. Se seguiamo le nostre procedure legislative abituali – che spesso richiedono fino a 20 mesi – le nostre risposte politiche possono essere già obsolete non appena vengono prodotte. Contiamo anche sul fatto che il Parlamento agisca da protagonista: per costruire l’unità politica, per creare lo slancio per il cambiamento, per chiedere conto ai politici delle loro esitazioni e per realizzare un ambizioso programma d’azione.  Possiamo far rivivere lo spirito innovativo del nostro continente. Possiamo riconquistare  la nostra capacità di difendere i nostri interessi. E possiamo dare speranza ai nostri cittadini. I governi e i parlamenti nazionali del nostro continente, la Commissione e il Parlamento europeo sono chiamati a essere i custodi di questa speranza in un momento di svolta nella storia dell’Europa. Se uniti, saremo all’altezza della sfida e  la vinceremo.