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Il colloquio

Proteggere l'Europa senza farsi dividere. Chiacchiere con Lollobrigida

Claudio Cerasa

Difendere l’interesse nazionale senza cadere nelle divisioni e puntando su un’Ue più forte (e senza unanimità). A-trumpismo? “I paesi che esportano valori democratici devono rispondere con intelligenza, non con maggiore protezionismo. Le minacce non vanno enfatizzate ma neppure sottovalutate”. Parla il ministro dell’Agricoltura

Trovare un equilibrio non è semplice, è chiaro, perché l’America è sempre l’America, perché un alleato è sempre un alleato e perché, per il governo Meloni, Trump non è solo il presidente degli Stati Uniti ma è qualcosa di più: è il capo del Partito repubblicano più importante del mondo, naturalmente, e dall’alto di quel ruolo, da quando è arrivato alla Casa Bianca, non ha fatto altro, Trump, che inviare messaggi d’amore indirizzati a Giorgia Meloni. Quanto è brava Giorgia, quanto è sveglia Giorgia, quanto è veloce Giorgia, quanto è smart Giorgia. Per Meloni, dunque, muoversi sulla scena, oggi, di fronte a un Trump che quando compie un passo in avanti molto spesso lo fa per passare sopra agli interessi dell’Europa, e anche dell’Italia, non è semplice. E il caso forse più interessante da mettere a fuoco, in questi mesi, il caso in cui cioè l’incompatibilità tra difesa dell’interesse nazionale e difesa dell’amicizia con Trump è risultato essere difficile da portare avanti è uno, è prelibato e riguarda le sberle commerciali promesse dal presidente americano all’Europa e dunque all’Italia.

Trump, lo sapete, sogna di colpire, con ceffoni chiamati dazi, i paesi europei che in questi anni hanno costruito un surplus commerciale con gli Stati Uniti. I paesi considerati più discoli, da Trump, sono la Germania e l’Italia, e nel minacciare l’Italia, nei giorni scorsi, il presidente americano ha fatto un passo in più, ha messo il dito in una piaga aperta e ha detto, testuale, che se l’Unione europea, “una delle autorità fiscali e tariffarie più ostili e abusive al mondo, creata con il solo scopo di sfruttare gli Stati Uniti”, non rivedrà il “dazio punitivo del 50 per cento sul whisky”, dazio annunciato dall’Ue per rispondere ai dazi annunciati da Trump, “gli Stati Uniti imporranno presto un dazio del 200 per cento su tutti i vini, champagne e prodotti alcolici provenienti dalla Francia e da altri paesi rappresentati dall’Unione europea, e questa misura sarà molto vantaggiosa per le aziende del settore vinicolo e dello champagne negli Stati Uniti”.

 

            

 

Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura del governo Meloni, ha ascoltato con attenzione e preoccupazione le minacce di Trump (nel 2024, il settore agroalimentare italiano ha registrato esportazioni per 69,1 miliardi di euro, segnando un incremento dell’8 per cento rispetto all’anno precedente, e all’interno di questo comparto, il vino ha svolto un ruolo di primo piano, con esportazioni che hanno raggiunto un valore record di 8,1 miliardi di euro, in crescita del 5,5 per cento rispetto al 2023: in tutto, nel 2024, le esportazioni agroalimentari italiane verso gli Stati Uniti hanno raggiunto un valore di 7,8 miliardi di euro, rappresentando circa l’11,3 per cento del totale delle esportazioni agroalimentari italiane). E in questa conversazione con il Foglio spiega perché “le minacce non vanno enfatizzate ma neppure sottovalutate”. Lollobrigida sa che il sistema produttivo italiano, in special modo quello agroalimentare, chiede da settimane risposte concrete al governo, non per enfatizzare ma per dimostrare di non voler minimizzare. E Lollobrigida, alla luce di questo scenario, accetta di offrire spunti di a-trumpismo italiano

Ammette che “i numeri dei dazi annunciati da Trump, semplicemente, per l’Italia non sono sostenibili”. Dice che “la guerra commerciale latente è un danno per un paese come il nostro”. Dice di augurarsi naturalmente che le schermaglie restino tali, ovvero acqua fresca, e che “l’Europa sappia trovare un modo per reagire non facendo salire la tensione, ovvero portando avanti la politica dei dazi contro dazi”, a brigante brigante e mezzo, ma difendendo l’interesse nazionale in modo compatto. “I paesi che esportano valori democratici devono fare squadra, devono restare uniti, non devono disunirsi, devono rispondere con intelligenza, non con maggiore protezionismo”, dice il ministro. Per paradosso, aggiunge, finora l’effetto annuncio ha prodotto risultati. Per esempio, le esportazioni di vino italiano negli Stati Uniti, vista la paura dei dazi, “hanno registrato un incremento significativo nell’ultimo trimestre del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023 e il volume complessivo esportato ha superato i 992.000 ettolitri, con una crescita del 12,8 per cento, mentre il valore ha raggiunto i 529,5 milioni di euro, segnando un aumento del 15,3 per cento”.

 

             

 

I vini spumanti, trainati dal Prosecco, “hanno mostrato una crescita rispettivamente del 18,8 per cento e 16,3 per cento in valore, con il Prosecco in particolare che ha registrato un aumento del 19,3 per cento nei volumi e del 15,8 nei ricavi (in controtendenza, i vini sfusi hanno subìto un crollo del 73 per cento nelle quantità esportate e del 66 nel valore)”. Lollobrigida fa un sorriso, si mostra fiducioso, sa di giocare sul filo del paradosso, sa che quel che l’Italia ha guadagnato in questi mesi rischia di essere perduto nei prossimi mesi, e per questo, un istante dopo aver fatto sfoggio di ottimismo, il ministro spiega in che modo l’Italia dovrà difendersi da quella che Lollobrigida non fa fatica a definire “una minaccia”. Punto numero uno: seguire il modello Draghi sulla competitività “e fare in Europa i passi necessari per rendere la nostra Unione più concorrenziale rispetto a come lo è oggi”. Secondo punto: non cedere alla tentazione trumpiana, di dividere l’Europa, “e ricordarsi che sulle tariffe, e sui dazi, occorre rispondere in modo unitario, senza accordi bilaterali, mai”. Punto numero tre: quando si dice, e quando diciamo, che non occorre rispondere a brigante con brigante e mezzo, per così dire, vuol dire anche scommettere, “come vuole fare d’altronde il presidente Meloni”, su un’Europa che punta non su maggiori dazi ma su maggiori accordi commerciali, “per promuovere un mercato più aperto non più chiuso”.

E in questi accordi commerciali il ministro Lollobrigida ammette che potrebbe entrarci anche un accordo importante, forse il più importante tra quelli di cui sta discutendo l’Europa: il Mercosur, il famoso trattato di libero scambio tra Unione europea e Mercosur (ovvero i principali paesi del Sud America). In questo accordo, come è noto, l’Italia è l’ago della bilancia per una questione matematica. Per bocciare il trattato, che sta cercando di portare avanti la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, serve il veto di almeno quattro paesi Ue che rappresentano almeno il 35 per cento della popolazione. Al momento, c’è il no di Francia, Austria, Polonia e Olanda che sommano il 30 per cento della popolazione. Il voto di Roma è determinante e il ministro Lollobrigida dice che “nulla è da escludere”. Anzi: “Si può trovare una soluzione. L’accordo può offrire un valore economico alle nostre esportazioni. Deve essere equamente ripartito, non ci deve essere nessuna vittima, come per esempio gli agricoltori, ma sono ottimista, e una strada condivisa si può trovare”. Il ministro dell’Agricoltura ammette che l’Europa, in questa fase, deve fare passi in avanti, che l’anti europeismo è fuori tempo massimo, che bisogna rafforzare il concetto d’Europa, dare un senso ai trattati di Roma, renderli più attuali, e per questo Lollobrigida dice che occorre un atto di coraggio e accettare il fatto che in una stagione non ordinaria occorrono anche misure straordinarie. Per esempio, dice il ministro, “non reputo uno scandalo che su alcuni temi l’Europa possa decidere alcune cose all’unanimità, come oggi, e altre invece solo con la maggioranza semplice, perché è impensabile che su ogni tema sia necessario essere tutti d’accordo: unanimità, a volte, rischia di essere immobilismo e l’Europa onestamente non può più permetterselo”.

Il governo italiano, dice il ministro, non sarà mai anti trumpiano ma occorre entrare in una nuova fase e capire che per difendere l’interesse nazionale, di fronte a un’America che ha scelto di mettere l’America first prima di tutto, più che puntare sulle derive nazionalistiche bisogna fare squadra per rafforzare l’interesse nazionale con lo scudo dell’interesse europeo. Anti trumpiano no, a-trumpiani forse sì.
 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.