(Ansa)

Editoriali

Paesi sicuri, questione aperta

Redazione

 L’avvocato generale della Corte Ue conferma che spetta al governo definire i “paesi sicuri”, ma sottolinea che tale valutazione può non valere per singoli richiedenti vulnerabili. Resta aperta la questione se lo Stato debba motivare le sue scelte davanti ai giudici, aprendo un possibile conflitto tra poteri

L’avvocato generale della Corte di giustizia europea, Jean Richard de la Tour, in relazione alla controversia tra il governo italiano e alcuni tribunali in materia di rimpatrio degli immigrati irregolari nei paesi di origine considerati “sicuri”, ha confermato che spetta al governo definire quali siano i porti sicuri, il che sembrerebbe dare ragione al governo. Aggiunge però precisazioni e condizioni che rendono ambiguo il suo pronunciamento. Il punto sul quale la discussione resta aperta è se lo stato sia tenuto a fornire ai giudici le motivazioni della sua decisione di considerare sicuri certi paesi, in modo che essi possano stabilire se valgano anche nel caso specifico del richiedente, che potrebbe subire discriminazioni o persecuzioni su base etnica, religiosa, politica o di orientamento sessuale. L’avvocato ha affermato che uno stato ritenuto sicuro può non esserlo per alcune categorie specifiche, il che lascia la questione aperta.

La sua dichiarazione non è vincolante, ma viene letta con attenzione perché è probabile che dia indicazioni sull’orientamento della Corte, che il prossimo mese dovrebbe esprimersi sulla controversia tra lo stato italiano e la procura di Roma in relazione al rimpatrio di due immigrati provenienti dal Bangladesh. Le questioni su cui riflettere sono due: una è la facoltà della magistratura di opporsi al rifiuto dell’asilo in base a elementi soggettivi dei richiedenti, tema sul quale la legislazione è incerta e sulla quale si può ragionare sull’estensione del principio universale dei diritti umani. Mentre l’altra è quella secondo cui il governo dovrebbe fornire ai magistrati le fonti su cui ha basato la sua decisione sui paesi sicuri  e su questo punto è lecito nutrire dubbi assai motivati. Potrebbe aprire la porta a una contestazione da parte della magistratura delle scelte del governo e del Parlamento, con una evidente invasione di campo nei poteri dell’esecutivo e del legislativo, oltre che con una negazione di fatto del principio affermato secondo cui la decisione sui paesi sicuri spetta allo stato.

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