Vita, affari e segreti dell'oligarca che ha comprato Wind
Nasce da un'intesa russo-egiziana il quinto colosso mondiale della telefonia mobile. Ieri infatti è stato raggiunto l'accordo per l'acquisto di Wind e una fetta delle attività di Orascom dell'egiziano Naguib Sawiris da parte dei russi di VimpelCom. La conferma è arrivata nel pomeriggio, dopo le indiscrezioni del Financial Times, che valuta l'operazione attorno ai sei miliardi di dollari.
Nasce da un'intesa russo-egiziana il quinto colosso mondiale della telefonia mobile. Ieri infatti è stato raggiunto l'accordo per l'acquisto di Wind e una fetta delle attività di Orascom dell'egiziano Naguib Sawiris da parte dei russi di VimpelCom. La conferma è arrivata nel pomeriggio, dopo le indiscrezioni del Financial Times, che valuta l'operazione attorno ai sei miliardi di dollari. Restavano diversi nodi da sciogliere per lanciare l'alleanza che partirà nel 2011, in primis le reali intenzioni dello stesso Sawiris.
Racchiuso nella holding Weather Investments, oggetto della fusione, l'impero del magnate egiziano era assetato di liquidità a causa dei debiti di Orascom e Wind Italia (8,2 miliardi di euro), ora controllate rispettivamente al 51,7 e al 100 per cento da VimpelCom. Resta fuori dall'intesa la controllata greca Wind Hellas, sull'orlo del default. La fusione con la compagnia telefonica russa, che fa capo ad Alfa Group e alla norvegese Telenor, è d'aiuto a Sawiris per uscire dal guado: con l'operazione il magnate avrà una partecipazione del 20 per cento all'interno del colosso. Mentre i russi con la nuova azienda accedono a un mercato da oltre 174 milioni di clienti, forti di una rinnovata capitalizzazione per 24 miliardi di dollari.
In mattinata il titolo Orascom, quotato alla Borsa del Cairo, è stato sospeso in attesa di indicazioni più precise. La decisione è strategica: il primo operatore d'Egitto ha infatti ampi interessi in tutto il medio oriente, in particolare in Algeria con la profittevole divisione locale Djezzy, imbrigliata in una controversia fiscale e in odore di nazionalizzazione: la pretesa del governo di avanzare un'offerta stava infatti frenando il successo della trattativa.
A districare definitivamente la matassa potrebbe pensarci Dmitry Medvedev in persona durante il business forum algerino di domani. Il presidente russo arriverà con i vertici aziendali di VimpelCom al completo. E di certo non mancherà Mikhail Maratovich Fridman, l'uomo più influente all'interno di Alfa Group grazie al controllo del 45 per cento dei diritti di voto.
“E' un ottimo negoziatore”, spiega Evgeny Utkin, economista esperto di telecomunicazioni. “Sa osare nei business importanti, anche rischiosi. Ha fiuto per gli affari – dice l'economista ricordando l'operazione che l'ha reso famoso – nel 2003 ha venduto il 50 per cento di TNK a British Petroleum per circa sette miliardi di dollari. Questa volta però è tempo di comprare. Sarebbe la svolta per VimpelCom, che raddoppierebbe il numero di utenti ed avrebbe accesso ai mercati mediorientali, asiatici e africani. Per le classifiche Fridman è tra i cinquanta uomini più ricchi al mondo, il terzo di Russia, con un patrimonio di 12,7 miliardi di dollari. Grazie a petrolio, telecomunicazioni e finanza, dopo una carriera iniziata trent'anni fa in Ucraina, suo paese d'origine, è diventato uno dei più giovani oligarchi della storia.
Classe 1964, occhio ceruleo e viso paffuto, Fridman è nato a Lviv (Leopoli), a breve distanza dal confine polacco, da una famiglia di religione ebraica e osservante. Da ragazzo ha cercato di seguire le orme dei genitori, entrambi ingegneri, costretti a confinare il loro credo tra le mura domestiche perché perseguitati. La fede ha permeato la sua vita sia nel bene, tanto che ricopre un ruolo apicale nel Russian Jewish Congress, sia nel male, visto che non ha potuto accedere in prima battuta all'Università di Mosca perché discriminato. Conserva tuttora, facendone un vanto personale, la kippah che indossava da piccolo durante la festa del capodanno ebraico.
Descritto come uno studente eccellente, non ha mai rinunciato a una delle sue grandi passioni: la musica. Patito di pianoforte, da giovane ha organizzato una band scolastica, ma non ne ha mai fatto una professione. Semmai un divertimento. Sfociato, durante il terzo anno di studi universitari, nel club delle “Fragole selvatiche” da lui fondato, prototipo delle moderne discoteche.
Il giovane Fridman ha fatto diversi lavori, dalla rivendita di biglietti al teatro Bolshoi fino alla creazione della compagnia di lavavetri Kourier. E una volta approdato all'istituto di metallurgia ha conosciuto persone che sarebbero divenute importanti per la propria vita, a partire dalla ragazza che sposerà dopo la laurea e da cui avrà due figli. Lì, all'istituto di metallurgia, allaccia anche i primi rapporti con il potere politico-economico russo. Incontra il futuro ideologo del Cremlino, Vladislav Surkov, e, secondo voci diffuse dai concorrenti in affari, agenti segreti del Kgb e leader criminali. Una pratica di antagonismo mediatico comune tra gli oligarchi usciti vincenti dalla disgregazione dell'Urss. L'intreccio con la criminalità si ripeterà anche negli anni più fulgidi della carriera, quando si insinua il sospetto di legami con il narcotraffico. Voci, malizie o calunnie?
L'amicizia più longeva e proficua lo lega a Pyotr Aven con il quale condivide l'amore per il pentagramma e la capacità di macinare utili. Insieme fondano il consorzio Alfa Group, la holding di controllo di una delle prime banche russe, Alfa Bank, poi la compagnia petrolifera Tyumen e diverse imprese di materiali, dal cemento al vetro fino all'alimentare. Lo spettro d'interessi è tale che gli consentirà di svolgere un ruolo principe nella gestione della crisi finanziaria del 1998, a soli 34 anni.
Da uomo d'affari prodigio è seduto al tavolo con il gotha economico nazionale. E' il primo sostenitore del presidente Boris Yeltsin e del premier Kiriyenko quando i businessmen decidono di appoggiare l'azione di governo. La figura dell'oligarca emergente, che piace al Cremlino, rimane velata di mistero: riservato e poco incline a rilasciare interviste, mal sopporta le critiche dei media. Ne hanno fatto le spese i giornalisti dell'Osten Im West: dieci anni fa il magazine tedesco è rimasto schiacciato da un'accusa di diffamazione con l'insostenibile minaccia di un risarcimento da 200 mila marchi.
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