“Atac, il bancomat della politica"
Parla Marco Rettighieri, ex direttore generale dei trasporti romani, riformatore scaricato
Roma. Ogni tanto Marco Rettigheri saliva su un autobus, senza avvertire nessuno. Il direttore generale dell’Atac condivideva in incognito l’incubo di migliaia di pendolari romani. Le ispezioni preferite avvenivano all’alba, alla stazione di piazzale Flaminio, per verificare la puntualità delle corse e la presenza dei controllori. Per strada e dietro la scrivania. Il suo progetto di risanamento della municipalizzata dei trasporti è durato solo sette mesi. Fino alle dimissioni avvenute la scorsa estate, per evidenti incompatibilità con la giunta Raggi.
“Sapevo che il mio compito sarebbe stato complicato, ma non mi aspettavo fino a questo punto”. Rettighieri ormai la prende con ironia. Con la memoria torna ai giorni dell’insediamento in Atac. Per accorgersi delle prime anomalie basta il tempo di prendere possesso dell’ufficio. “Mi è subito balzata agli occhi una stranezza. In azienda non c’era alcun controllo sull’acquisto delle gomme per il parco autobus. Nel giro di un anno, per il cambio pneumatici, si passava da una spesa esigua a cifre ben più alte. Troppa distonia per essere normale. E così ho preparato un dossier e l’ho portato in Procura”. In pochi mesi Rettighieri segnala alla magistratura una lunga serie di stranezze. Sette fascicoli. All’attenzione della giustizia finisce il servizio mensa di Atac, gestito per anni dal Dopolavoro sindacale, a cui l’azienda riconosceva oltre 4 milioni di euro l’anno. Ma anche il disinvolto utilizzo di permessi e distacchi sindacali mai autorizzati.
Rettighieri si mette in testa di risanare l’azienda. Propone di limitare le spese inutili, a partire dalle consulenze legali. “Quando sono arrivato ho trovato almeno un centinaio di consulenze esterne. Le ho ridotte radicalmente, affidando il lavoro ai nostri avvocati interni”. Anche le manutenzioni dei mezzi vengono internalizzate. “Atac ha ottimi tecnici e meccanici, valorizzare il loro lavoro ha portato a un risparmio di circa 12 milioni di euro”. E alla fine, i primi risultati: “Quando sono arrivato il debito su base annua era di 1,6 miliardi di euro, l’abbiamo portato a 1,3 miliardi”.
Alcune criticità vengono da lontano. Lo scandalo Parentopoli ha svelato l’esistenza di un sistema clientelare e consociativo. “Atac è stata un bancomat della politica” ammette Rettighieri senza troppi giri di parole. “L’ho sempre detto”. Non solo la politica, però. Il manager ricorda la “forte presenza” dei sindacati in azienda. “Non nego che dopo aver toccato alcuni interessi, si è creata una certa insofferenza nei miei confronti”.
Intanto tra scioperi, ritardi e corse che saltano, il conto lo pagano i romani. In città l’età media di un bus supera gli undici anni, quasi il triplo rispetto a Londra e Parigi. Una flotta con centinaia di migliaia di chilometri alle spalle. “Poco prima di lasciare – racconta l’ex dg – ho firmato un contratto per 150 nuovi autobus in full leasing, compresa la manutenzione. Alcuni sono già in servizio. Spero solo che il Comune prosegua nella stessa direzione”. Nel frattempo capita persino che qualche mezzo si incendi per strada. “Ma se gli autobus vanno a fuoco – insiste a Rettigheri – Non è così normale come qualcuno vuol fare credere”. A cosa allude? “Magari accade perché c’è un ristagno di materiale oleoso, forse succede perché qualcuno non ha pulito il motore in maniera adeguata…”. Una situazione difficile, sotto troppi punti di vista. Tra le criticità l’ex dg ricorda l’evasione tariffaria, che su alcuni mezzi di superficie raggiunge il 40 per cento. In pratica quasi la metà dei viaggiatori non paga il biglietto. “Ecco perché ho deciso di togliere qualche dipendente dall’ufficio e incrementare i controlli”, ricorda il manager. “La riscossione a bordo è cresciuta del 18 per cento, un discreto risultato in termini economici. Ma finché non ci sarà senso civico tra gli utenti, nessuno potrà ridurre l’evasione a Roma”.
Dopo l’arrivo dell’amministrazione Raggi, qualcosa si rompe. “Con la sindaca ci siamo incontrati poche volte, lo stretto necessario”, taglia corto Rettighieri. Alle cronache resta una polemica sulle ingerenze della giunta nelle scelte del management. “Il principale motivo del mio addio è un altro – insiste l’ex dg – Se viene messo in discussione il piano industriale, è giusto che un manager lasci. Bisogna assumersi la responsabilità di dire ‘non sono d’accordo’”. A guardarsi indietro non c’è amarezza. Non solo, almeno. “Questi sette mesi hanno rappresentato una bella sfida, in alcuni casi un’esperienza esaltante”. Il dubbio resta. I romani avranno mai un trasporto pubblico normale? “La possibilità di risanare l’azienda esiste. Tutto dipende da quello che vuole fare l’azionista, il Campidoglio. Ma per raggiungere l’obiettivo bisognerebbe lavorare con le mani libere, e finanziamenti certi, per almeno tre anni”.