Il nuovo assessore all'Urbanistica Montuori si presenta bene, ma per questo rischia la palude
C’è stato il tanto sospirato innesto in giunta, il nuovo assessore all’Urbanistica Luca Montuori, professore a Roma Tre e architetto cinquantunenne che ha sostituito Paolo Berdini
A Roma è arrivato addirittura l’inviato dell’Onu per la sicurezza stradale, Jean Todt, in Aula Giulio Cesare durante una seduta su buche, corsie e sistemi per evitare il più possibile incidenti. E per un giorno in Campidoglio ci si è sentiti fuori dalla palude “nomine-legalità-legalità-nomine”. Solo che la palude è lì che aspetta. C’è stato infatti finalmente il tanto sospirato innesto in giunta – il nuovo assessore all’Urbanistica Luca Montuori, professore a Roma Tre e architetto cinquantunenne che ha sostituito Paolo Berdini – anche se resta vacante il posto di capo di gabinetto. Ma il punto è proprio l’innesto. Perché se è vero che Montuori, già capo staff del vicesindaco Luca Bergamo, è in qualche modo considerabile un “interno” alla giunta, è pure vero che, di fatto, non lo è. Viene per così dire da un altro mondo (lo stesso di Bergamo), e cioè dal mondo ex veltronian-rutelliano e dalla stagione della sinistra cittadina di governo, stagione che Montuori non rinnega, come ha detto il giorno dell’insediamento, giorno in cui si è detto pronto a buttarsi “in mare senza ciambella”, con l’idea di “restituire alle periferie un ruolo centrale”, anche se a Roma “non basta nemmeno la bacchetta magica”.
L’ottimismo della volontà c’è tutto, poi però c’è anche quella che Montuori chiama “la sfida”, intendendo l’agire per il bene di Roma, e che gli osservatori cinici chiamano “l’immolarsi”, ché ogni volta che Raggi mette in giunta un non-Cinque Stelle (almeno: non Cinque Stelle originario) qualcosa nell’ingranaggio del reggimento grillino scricchiola. C’è infatti quell’oggettiva difficoltà di agire con mentalità più elastica nell’universo non elastico dei non-statuti e dei codici piovuti dalla Casaleggio Associati. E c’è l’intoppo dei collaboratori: come sceglierli, quando Raggi, per prima, è sotto torchio per le incaute scelte fatte nei primi giorni del mandato? Senza contare che ancora scottano, a Roma, le dimissioni a catena del primo settembre 2016, quando lasciarono l’incarico, in blocco, gli “innesti” esterni, dal superassessore al Bilancio Marcello Minenna al capo di gabinetto Carla Raineri ai vertici di Ama e Atac. Intanto l’assessore capitolino alle Partecipate Massimo Colomban, imprenditore veneto molto trasversale, non ideologico e forse anche per questo mezzo-impossibilitato ad agire, finora non ha potuto fare molto. Colomban è l’uomo che, appena insediato, chissà se per riflesso da Cassandra, diceva “per migliorare Roma serviranno anni, non mesi”. Ma se continuano così, neanche secoli.