Immondizia a Roma (foto LaPresse)

Monnezza a 5 stelle

Redazione

Raggi ha detto che Acea avrebbe abbandonato i termovalorizzatori. E invece non ne può fare a meno

Roma. Il comune di Roma è indirettamente proprietario di tre termovalorizzatori, due nel Lazio, a Colleferro e a San Vittore, e uno in Umbria, a Terni. Il primo impianto è gestito da una società pubblica che si chiama Lazio Ambiente, partecipata da Ama, a sua volta posseduta dal comune di Roma. Gli altri due impianti sono controllati da Acea, la multiutility controllata per il 51 per cento dal comune. Poiché sarebbe un’insensatezza, malgrado le dichiarazioni, gli annunci e gli ammonimenti, l’amministrazione a cinque stelle della capitale – da mesi invasa da rifiuti che nessuno sa più come smaltire – non ha chiuso nessuno di questi impianti. Anzi, il comune ha autorizzato la riattivazione dell’inceneritore di Colleferro. E sembra una specie di apologo intorno al rapporto del M5s con la realtà: presto o tardi questa ti assale.

 

“La combustione di rifiuti è obsoleta e da superare”, diceva Virginia Raggi mentre ad aprile procedeva alla nomina dei nuovi vertici di Acea, e mentre l’assemblea di Roma Capitale (con i soli voti del M5s) approvava un atto col quale s’impegnava la giunta a promuovere l’adozione, da parte di Acea, di “politiche di esercizio dell’attività di gestione dei rifiuti diverse dallo smaltimento mediante incenerimento”. Un atto d’indirizzo per la società che si occupa anche di gestione di rifiuti, che è rimasto tale: un atto. Senza conseguenze pratiche. Per il semplice fatto che senza i termovalorizzatori l’emergenza rifiuti, già in atto, raggiungerebbe vette da castigo biblico e diventerebbe forse irrecuperabile.

 

Alcuni mesi fa l’assessore all’Ambiente, Pinuccia Montanari, ha presentato un suo “piano” per i rifiuti a Roma. Una “rivoluzione lenta”, l’ha definita lei stessa, che prevede di raggiungere quota 70 per cento nella raccolta differenziata (oggi è forse, in base a statistiche non verificate e probabilmente estremamente ottimistiche al 40 per cento). Più che un “piano”, quelle della Montanari vengono definite, persino all’interno degli uffici tecnici del comune, come “delle linee guida” all’interno delle quali l’unica cosa concreta, che è stata cioè finanziata, è la costruzione di tre impianti per la lavorazione dell’umido (frazione della raccolta differenziata). Di questi tre impianti ancora non si sa nulla: né dove, né come né quando saranno costruiti. Ora il punto – al di là dei ritardi e degli annunci strombazzati – è che l’aumento della raccolta differenziata fa aumentare la produzione di umido, dunque di cdr (combustibile per termovalorizzatori), un prodotto che Roma non sa dove mettere perché solo uno dei tre termovalorizzatori del Lazio – San Vittore, Malagrotta e Colleferro – è in funzione (San Vittore) e i cinque stelle (che formalmente sono per la chiusura anche dei due non operativi) sono contrari alla costruzione di un quarto (pure previsto, e anzi considerato urgente, da un decreto del 2016 approvato dal governo Renzi).

 

La sostanza della questione, in estrema sintesi, è questa: i cinque stelle non possono chiudere i termovalorizzatori perché riempirebbero le strade di monnezza ancora di più di quanto non lo siano oggi, ma non vogliono aprirne altri che pure sono logicamente necessari e logicamente collegati al piano da loro stessi redatto – che prevede l’aumento della raccolta differenziata. Oggi il prodotto umido della raccolta differenziata viene portato per due terzi fuori dalla città, e in gran parte – una volta lavorato – alimenta termovalorizzatori spagnoli, portoghesi e austriaci. In questi paesi, che sono pagati per ricevere i rifiuti romani, con l’umido che Roma invia a pagamento viene prodotta energia elettrica che contribuisce ad abbassare le spese in bolletta delle utenze private. Dunque a Roma servirebbero quattro termovalorizzatori, ne funziona solo uno, e i cinque stelle che li vorrebbero chiudere tutti hanno in parte capito che una cosa sono le sparate sul blog un’altra è governare la fisicità graveolente della spazzatura. Una cosa che – a differenza del bilancio consolidato e del nuovo regolamento comunale sul commercio ambulante – non puoi nascondere alla vista e all’olfatto di nessuno, persino dei tuoi tifosi-elettori.

 

E c’è infatti un conflitto sempre aperto tra realtà e insensatezze grilline che, in materia di rifiuti, ha opposto in questi mesi i tecnici di Ama e Acea ai vertici “politici” della città. Sono state solo le accorate valutazioni e i consigli dei tecnici, e del management, a impedire che la giunta romana procedesse con lo smantellamento dell’inceneritore di Terni (che pure non incide sull’emergenza romana) e di San Vittore (l’unico davvero funzionante nel Lazio: se si fermasse, a Roma ci sarebbero letteralmente delle montagne di monnezza per le strade, altro che cassonetti ricolmi come in questi giorni). E sono stati sempre i tecnici a perorare la causa dell’impianto di Colleferro al posto del quale, ha detto la signora Montanari, la giunta a cinque stelle vorrebbe fare una non meglio specificata “fabbrica di materiali”. L’impianto di Colleferro, le cui quote di maggioranza la regione Lazio intende cedere, andrà in manutenzione e sarà riattivato (il termine tecnico è “revamping”) con l’autorizzazione della giunta Raggi. Senza “revamping”, senza riattivazione, l’impianto non è infatti vendibile, ovvero non sarebbe quantificabile nemmeno il suo valore. Dunque il paradosso è che il Movimento che ha fatto della battaglia ai termovalorizzatori una questione ideologica e di bandiera, nella principale città che amministra non solo non li chiude i termovalorizzatori, ma si trova costretta, un po’ come accadde a Federico Pizzarotti a Parma, a riaprirli. “Non si poteva fare altro dopo la decisione presa in precedenza”, ha detto l’assessora Montanari, quasi ricalcando le parole con le quali Pizzarotti si difese da Gianroberto Casaleggio quando il guru lo voleva buttare fuori dal M5s perché non aveva rispettato l’impegno elettorale di chiudere l’inceneritore di Parma.