editoriali
Le parole sbagliate del Papa sulla guerra in Ucraina
Parlare di “mercenari” e non di stato aggressore alimenta inutili ambiguità
"Rinnovo il mio invito alla preghiera per la martoriata Ucraina: chiediamo al Signore la pace per questa gente così tribolata, che soffre tanta crudeltà da parte dei mercenari che fanno la guerra. Preghiamo insieme”, ha twittato il Papa nelle ore in cui l’esercito russo annunciava la ritirata da Kherson. L’invito alla preghiera è naturalmente condivisibile, così come il passaggio sulla “martoriata Ucraina”, concetto peraltro espresso lunedì in udienza all’arcivescovo maggiore di Kyiv, Sviatoslav Shevchuk.
Quel che non si comprende è perché il Papa continui a parlare di “mercenari che fanno la guerra”. Non è una novità, l’aveva già detto domenica interpellato dai giornalisti di ritorno dal Bahrein. Il fatto è che coloro che dalla fine dello scorso febbraio hanno invaso casa altrui (l’Ucraina) sono uomini lì inviati – costretti – da Vladimir Putin, il presidente della Federazione russa. Non si tratta di battaglioni asiatici capitati lì per caso, dietro lauto compenso. Sì, magari ci sono anche quelli, come in ogni guerra. Ma limitarsi a denunciare le “crudeltà” commesse dai mercenari fa perdere di vista il cuore del problema, nonché alimenta di nuovo il fronte di chi sostiene che la Santa Sede sia ambigua rispetto al conflitto. C’è un aggressore e un aggredito, il primo è la Russia (intesa come entità statale, non come popolo, ovviamente) e il secondo è l’Ucraina. Che è la vittima, l’unica. Non ci sono zone grigie, è tutto dolorosamente chiaro. Mettere l’accento sui “mercenari”, non specificando chi siano né da dove provengano, è un invito implicito a spostare l’attenzione dal dato fattuale più rilevante: è Mosca, con il suo presidente e i suoi stati maggiori, ad aver minato la pace nell’Europa orientale. Non altri. Di ulteriore ambiguità non c’è proprio bisogno.