Editoriali
Il costo collettivo del negazionismo
L’identikit di chi non si vaccina coincide con quello dell’elettore trumpiano
L’Amministrazione Biden vuole che per la festa nazionale del 4 luglio il 70 per cento degli americani abbia ricevuto almeno una dose di vaccino: al momento è al 60 per cento. Ma continuano a esserci resistenze, quella che con un eufemismo è stata chiamata “esitazione”.
Secondo una ricerca della Kaiser Family Foundation riportata dal Wall Street Journal, il 20 per cento degli americani è No vax, lo era a gennaio e lo è oggi. Gli attendisti, vediamo come va, erano il 31 per cento a gennaio e ora sono il 12, quindi vuol dire che chi si è convinto si è vaccinato, tutti gli altri vanno ancora trovati. Ma la resistenza ha dei tratti molto definiti: più dell’80 per cento di chi si dice democratico ha già ricevuto almeno una dose, mentre tra i repubblicani questo valore è al 49 per cento. Il 27 per cento dei repubblicani dice che non si vaccinerà a nessuna condizione, e un 9 per cento addizionale lo farà solo se sarà obbligatorio. Tra i democratici entrambi i valori sono al 3 per cento.
I primi venti stati per numero di vaccinazioni hanno votato Joe Biden nel novembre scorso, mentre negli ultimi venti, cioè quelli degli esitanti, 17 avevano votato Donald Trump. I repubblicani sono, rispetto ai democratici, più anziani e più bianchi, cioè favorevoli ai vaccini, quindi tra di loro il tasso di vaccinazione dovrebbe essere più alto: accade il contrario. Se si guardano bene i dettagli demografici si scopre che l’identikit dell’esitante assomiglia, e anzi in alcuni casi coincide, con quello dell’elettore trumpiano. E’ la dimostrazione che gli effetti di una politica che alimenta scetticismo e sfiducia negli scienziati (come nelle istituzioni) con slogan semplicistici e vittimistici ha effetti a lungo termine: il costo di questa resistenza è un costo collettivo, non soltanto americano ma di tutti, visto che l’obiettivo di questa campagna di vaccinazione è l’immunità globale.
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