Perché l'Italia è stata rimproverata per la xylella
A riaprire il dibattito la Commissione europea e un articolo di Nature. "Non c'è dubbio che la Regione non si sta muovendo velocemente". Parla il prof. Giovanni Martelli
A condannare l'immobilismo delle istituzioni italiane nel fronteggiare l'epidemia della Xylella in Puglia è arrivato un articolo della prestigiosa rivista scientifica Nature. A dire il vero, prima ancora era stata la Commissione europea, lo scorso Maggio, a inviare a Roma un report in cui si sottolineava che l'Italia aveva avviato troppo tardi il monitoraggio sistematico degli ulivi malati e che ci sono stati "ritardi eccessivi" nello sradicare alcuni alberi infetti. Nel 2013, all'indomani della scoperta del primo focolaio in Puglia, la Commissione UE prese subito in seria considerazione gli studi dell'Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR e dell'Università di Bari, approvando le prime misure per impedire che la Xylella si diffondesse anche fuori dall'Italia. Ma nel frattempo, una campagna mediatica, politica e giudiziaria è partita in difesa degli ulivi (malati) e contro la comunità scientifica impegnata nello studio del caso e delle sue possibili conseguenze.
Ora Nature fa eco all'allarme lanciato da Bruxelles: si è perso troppo tempo dietro esposti giudiziari, campagne mediatiche infondate e studi approssimativi invece di mettere a disposizione della comunità scientifica gli strumenti necessari ad arginare il focolaio. "Ci sono carenze sviluppate a livello regionale", dice al Foglio il prof. Giovanni Martelli dell'Università di Bari, tra i primi ad indagare sulla Xylella. "E' ormai chiaro che la malattia avanza e si sviluppa con nuovi focolai che andrebbero distrutti secondo i dettami della Commissione". Una soluzione, contestata dagli attivisti pugliesi, è quella dell'abbattimento degli alberi malati e di quelli sani circostanti. Una pratica che "darebbe benefici", spiega Martelli, insieme ad un piano di trattamenti specifici a scopo preventivo, stilato grazie agli studi compiuti finora, spesso senza il sostegno degli enti locali. In applicazione del "Piano Silletti" occorre che nel periodo invernale e in quello primaverile si proceda con un diserbo meccanico per falcidiare gli stadi giovanili di Philaenus spumarius, il vettore della Xylella, seguito da un trattamento insetticida sugli alberi contro gli adulti.
L'inerzia delle istituzioni messa sotto accusa da Nature nasce da quelle che Martelli definisce "vischiosità presenti nelle stanze regionali". "E' difficile da comprendere", dice il professore, "ma non c'è dubbio che la Regione non si sta muovendo velocemente". Dopo anni di dibattiti, scontri tra attivisti scettici e comunità scientifica, il Consiglio regionale della Puglia ha approvato solo lo scorso Marzo la legge regionale che prescrive gli interventi da mettere in atto per attuare le misure fitosanitarie per prevenire e contenere la diffusione della Xylella. Per Martelli, "sembra di vivere in un'atmosfera rarefatta. C'è gente che continua a dire che diciamo schiocchezze". Al punto che nel 2015 è stato presentato un esposto alla Procura di Lecce dove si chiedeva di indagare se esistesse o meno una correlazione tra l'essiccamento degli ulivi nel Salento e la Xylella. La procura ha così impiegato finora tempo e risorse per verificare la veridicità di un allarme lanciato da parte della comunità scientifica regionale. Gli inquirenti indagano in particolare su dieci persone, tra le quali l'allora commissario straordinario per l'emergenza, Giuseppe Silletti. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono di diffusione di una malattia delle piante; violazione dolosa delle disposizioni in materia ambientale; falso materiale commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici, falso ideologico, getto pericoloso di cose, distruzione o deturpamento di bellezze naturali. Tra le misure adottate dalla Procura durante le indagini è arrivato il sequestro degli ulivi, che di fatto ne ha impedito l'abbattimento e ha congelato una contromisura considerata urgente dalla Commissione europea per arginare la diffusione del batterio. Il non voler dare credito a quanto sostenuto dai ricercatori baresi, ed ampiamente condiviso dalla comunità scientifica internazionale, non ha ancora permesso una concreta azione di contenimento del contagio che, come si è già accennato, avanza inesorabilmente.