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La scienza ribadisce che gli Ogm non fanno male, anzi. L'Europa si aggiorni

Redazione

La ricerca della Scuola superiore Sant'Anna e dell'università di Pisa pubblicata su ''Scientific Reports'' è basata su 11.699 osservazioni e su 21 anni di colture nel mondo: nessun rischio per la salute e per l'ambiente

Nel giugno 2016 erano stati 110 premi Nobel per la medicina e la chimica (ma anche per la fisica e l’economia) a scrivere un appello in cui chiedevano alla più importante associazione ambientalista mondiale, Greenpeace, di smetterla con la sua opposizione ideologica agli organismi geneticamente modificati (Ogm). La lettera chiedeva di porre fine a una campagna anti Ogm che impedisce di salvare la vita e migliorare le condizioni di salute di milioni di persone:“Quanti poveri devono morire ancora? È un crimine contro l’umanità”. 

  

E non era certo la prima volta che la scienza ufficiale si schierava a favore delle biotecnologie, come soluzione ai problemi alimentari del futuro e strumento privo di rischi per l’uomo e l’ambiente. Solo un mese prima la National Academies of Sciences, Engineering and Medicine, ovvero l’insieme delle accademie fondate da Abramo Lincoln per svolgere un lavoro di consulenza scientifica indipendente, aveva pubblicato un report in cui confermava, ancora una volta, che gli Ogm sono sicuri per l’uomo e l’ambiente. Lo studio di oltre 400 pagine era una rassegna di tutta la letteratura scientifica degli ultimi venti anni e il comitato, composto da scienziati di chiara fama, aveva analizzato oltre mille lavori su ogni possibile aspetto riguardante la manipolazione genetica, fatto dibattiti pubblici e raccolto testimonianze.

    

Anche un nuovo studio italiano utilizza la tecnica della revisione dei più accreditati studi precedenti e promuove gli Ogm: sono sicuri e convengono, conclude il report pubblicato su ''Scientific Reports'' (gruppo Nature), e lo prova la loro storia più che ventennale. Se i premi Nobel si focalizzavano sul Golden Rice, il riso arricchito con vitamina A che può curare milioni di bambini nei paesi in via di sviluppo, ora gli autori italiani si focalizzano sul mais ogm. La coltivazione della versione transgenica del cereale garantisce rese superiori e contribuisce a ridurre la presenza di insetti dannosi; il prodotto, inoltre, contiene percentuali inferiori di sostanze tossiche che rischiano di contaminare gli alimenti e i mangimi animali.

 

Il lavoro è firmato da un gruppo di ricercatori della Scuola superiore Sant'Anna e dell'università di Pisa, coordinato da Laura Ercoli, docente di Agronomia e Coltivazioni erbacee dell'Istituto di Scienze della vita della Scuola Sant'Anna. "Lo studio dimostra, dati statistici e matematici alla mano, che il mais transgenico non comporta rischi per la salute umana, animale e ambientale", sottolinea il team, che ha analizzato 21 anni di coltivazione mondiale di mais Ogm: un periodo compreso tra il 1996, ''anno zero'' della produzione, e il 2016. La ricerca raccoglie i risultati di studi condotti in pieno campo negli Stati Uniti, in Europa, Sud America, Asia, Africa e Australia, e paragona le varietà Ogm di mais con quelle parentali non transgeniche.

   

Su queste basi lo studio dimostra, “in maniera decisa”, che “il mais transgenico è notevolmente più produttivo (le colture Ogm hanno una resa superiore dal 5,6 al 24,5 per cento), non ha effetto sugli organismi non-target (non bersagli della modificazione genetica), tranne la naturale diminuzione del Braconide parassitoide dell'insetto dannoso target Ostrinia nubilalis – si legge in una nota della Scuola Sant'Anna – e contiene concentrazioni minori di micotossine (meno 28,8 per cento) e fumonisine (meno 30,6 per cento) nella granella”, cioè nei chicchi di mais. Gli studiosi spiegano di avere applicato “le moderne tecniche matematico-statistiche di metanalisi su risultati provenienti da studi indipendenti, per trarre conclusioni più forti rispetto a quelle ottenute da ogni singolo studio”. La metanalisi si è basata su “11.699 osservazioni che riguardano le produzioni, la qualità della granella (incluso il contenuto in micotossine), l'effetto sugli insetti target e non-target, i cicli biogeochimici come contenuto di lignina negli stocchi e nelle foglie, perdite di peso della biomassa, emissione di anidride carbonica dal suolo”. 

   

Gli autori – Ercoli con Elisa Pellegrino, Stefano Bedini e Marco Nuti – evidenziano che “lo studio ha riguardato esclusivamente l'elaborazione rigorosa dei dati scientifici e non l'interpretazione 'politica' dei medesimi”, e ritengono dunque che questa analisi fornisca “una sintesi efficace su un problema specifico molto discusso pubblicamente”. Sintesi che, concludono, “permette di trarre conclusioni univoche, aiutando ad aumentare la fiducia del pubblico nei confronti del cibo prodotto con piante geneticamente modificate”. Dalla Scuola superiore Sant'Anna si ricorda che “di recente la Corte di giustizia europea ha sentenziato che – a meno di una 'evidenza significativa' sul serio rischio alla salute umana, animale e ambientale portato dalla coltivazione di piante geneticamente modificate - gli stati membri” dell'Unione europea “non possono adottare misure d'emergenza per proibirne l'uso”. Ebbene, “lo studio dimostra che, dopo 21 anni di coltivazione del mais transgenico in tutto il mondo – ribadiscono gli esperti – non esiste alcuna evidenza significativa di rischi alla saluta umana, animale o ambientale. Al contrario i dati della metanalisi indicano con chiarezza la diminuzione delle micotossine e fumonisine, sostanze contaminanti contenute negli alimenti e nei mangimi e responsabili di fenomeni di tossicità acuta e cronica. La diminuzione di tali sostanze nella granella del mais transgenico, impiegata in alimenti per l'uomo e per gli animali, può avere effetti molto significativi per la salute umana”. Ora tocca all'Unione europea accantonare le teorie anti scientifiche e il terrorismo mediatico delle lobby ambientaliste e aggiornare la disciplina alla scienza e alla realtà.

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