Gli allarmi e gli allarmismi sul glifosato
I giudizi contrastanti sulla presunta cancerogenicità dell’erbicida hanno causato notevole clamore mediatico. Una guida per capire il percorso valutativo e la differenza fra il pericolo e il rischio
Pubblichiamo un dossier sul glifosato del professor Angelo Moretto. Quella che trovate di seguito è una versione breve. Il testo completo a questo link.
I giudizi contrastanti sulla presunta cancerogenicità dell’erbicida glifosate hanno causato notevole clamore mediatico. Provo ora ad affrontare la questione di merito e a spiegare come l’International Agency for Research on Cancer (IARC), che si occupa di valutazione del pericolo (classificazione), abbia ruolo e modalità operative molto diversi da altri enti che invece valutano il rischio (definizione dei limiti) (Joint FAO/WHO Meeting on Pesticide Residues, JMPR, o European Food Safety Authority, EFSA, o Environmental Protection Agency, EPA, o European Chemicals Agency, EChA). Inoltre, lo status IARC è tale che le sue conclusioni non hanno ricadute legislative in quanto non è un ente “regolatorio”, come tutti gli altri enti. Questo si riflette anche sulla metodologia e sui dati disponibili a IARC che sono meno abbondanti e accurati di quelli disponibili e valutati dagli altri enti. Proverò a spiegare il percorso valutativo, che non a tutti è chiaro, e la differenza fra pericolo (caratteristica astratta e adimensionale sulla quale si basa la classificazione IARC) e il rischio (stima quantitativa della probabilità che un evento avverso possa accadere, valutata per esempio da JMPR). Solo la valutazione del rischio è uno strumento utile a prendere decisioni operative (per esempio la definizione dei limiti) e una guida all’adozione di adeguate misure di gestione delle sostanze; decisioni prese solo sulla base del pericolo sono fuorvianti e inducono reazioni sproporzionate e inutili allarmismi nella popolazione.
I criteri di valutazione dei prodotti fitosanitari
I prodotti fitosanitari (pesticidi) sono i composti più studiati fra tutti quelli con i quali l’uomo viene in contatto. Sono studiati prima e dopo l’autorizzazione all’immissione in commercio. Vi è una valutazione preventiva che deve escludere, nelle normali condizioni d’uso, rischio di effetti avversi sull’uomo (e sull’ambiente). Pertanto, i produttori conducono studi che servono a quantificare il livello di rischio per l’uomo e per l’ambiente. Devono essere condotti studi di tossicità acuta, a breve e a lungo termine, riproduttiva, cancerogenesi, teratogenesi, genotossicità, e, se ritenuto necessario, studi più specifici. Questi studi devono essere presentati agli enti governativi, che li valutano al fine di autorizzare o meno nei loro paesi di competenza, e a quali condizioni, l’uso del prodotto fitosanitario. Questi studi, di solito coperti da brevetto, sono resi disponibili agli enti ma non sono pubblicati. Gli enti valutano anche studi pubblicati nella letteratura scientifica. Sulla base degli studi presentati è stabilito il Limite Massimo di Residuo (LMR, Maximum Residue Limit, MRL) che corrisponde al livello massimo riscontrabile in una derrata alimentare se il prodotto è stato applicato secondo le buone (per quantità, tempo e modalità) pratiche agricole. Parallelamente, si stabiliscono, con criteri molto prudenziali, i limiti per la salute, quali la dose giornaliera accettabile (Acceptable Daily Intake, ADI) per esposizioni per tutta la vita, e la dose acuta di riferimento (Acute Reference Dose, ARfD) per esposizioni di una giornata. Solo se la stima dell’assunzione attraverso gli alimenti del prodotto è inferiore ai limiti stabiliti (ADI e ARfD), il prodotto fitosanitario è autorizzato. Quindi il LMR non è un limite sanitario, ma un indicatore del corretto uso del prodotto. Infatti, la stima dell’assunzione può essere il 50, 5, 0,5% o anche meno dell’ADI/ARfD. Per esempio, il JMPR ha stimato un’assunzione del glifosate come residuo negli alimenti, da parte delle varie popolazioni mondiali, fra lo 0 e l’1% dell’ADI. Questo vuol dire che per raggiungere la dose massima ammissibile (non la dose tossica) un individuo dovrebbe mangiare tutti i giorni l’equivalente di quanto mangia in 100 o più giorni.
Studi pubblicati e studi non pubblicati
Gli enti valutatori pubblicano ampi riassunti degli studi forniti dai produttori. Di questi studi sono forniti tutti i dati grezzi, relativi a ogni animale trattato; migliaia di pagine che riportano ogni parametro misurato. Leggendo i dati grezzi, i valutatori possono giudicarne la congruità e, se necessario, ripetere le analisi statistiche. Questi studi sono condotti secondo protocolli concordati internazionalmente, in laboratori certificati per buona pratica di laboratorio (Good Laboratory Practice, GLP) e con sistema di sicurezza della qualità certificato. Gli studi pubblicati su riviste scientifiche, invece, composti da, al massimo, una ventina di pagine, forniscono solo dati sintetici, ovvero medie, deviazioni standard, o altri parametri statistici. Tali studi sono infatti eseguiti in laboratori di ricerca e per scopi di ricerca, quindi seguono protocolli non sempre appropriati alla definizione dei limiti. Inoltre, per l’assenza dei dati grezzi, non sempre è possibile valutare la qualità dello studio e l’appropriatezza dell’analisi statistica. Per i composti in rivalutazione periodica, come il glifosate, sono inoltre valutati anche gli studi epidemiologici.
Differenze fra l’approccio della IARC e quello degli enti regolamentatori
IARC, agenzia affiliata al WHO, ha un programma chiamato Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans, nato negli anni 1960 e, sostanzialmente immutato nel suo impianto generale, svolge attività di classificazione di sostanze, agenti, attività lavorative, scelte da un gruppo di esperti internazionali nominato dalla segreteria IARC.
Nella diatriba innescata dalla classificazione IARC del glifosate (probabile cancerogeno, Gruppo 2A), sono mancate osservazioni sulle differenze nelle modalità operative di IARC rispetto agli altri enti, che possono, almeno in parte, spiegare la differente conclusione cui sono giunti tutti gli altri 17 enti valutatori, e cioè che è improbabile che il glifosate sia cancerogeno.
Poichè IARC non prende in considerazione gli studi condotti dai produttori, il numero di studi disponibili agli esperti IARC è minore e, soprattutto, mancano gli studi maggiormente informativi. Quindi, IARC non ha potuto avere un quadro completo delle caratteristiche tossicologiche di glifosate.
Infine, l’approccio IARC, solamente classificatorio, risponde alla semplicistica domanda: “l’agente in questione può causare il cancro nell’uomo?”. E’ evidente che questa semplice classificazione, che trascura la potenza cancerogena, non è di alcun aiuto per la gestione delle sostanze in causa. Infatti nella stessa categoria, ad esempio nel Gruppo 1 (certamente cancerogeni), sono inseriti agenti quali il fumo di sigaretta, l’amianto, la carne lavorata, le bevande alcoliche, le radiazioni solari, o nel Gruppo 2A, la carne rossa, emissioni dalle fritture, lavori a turni, esposizione professionale dei barbieri alle tinture e il glifosate. Se non si valuta la potenza (quale effetto a quale dose) e la si compara con l’esposizione umana, se non si fa cioè una valutazione quantitativa del rischio, non si potrà procedere alla gestione appropriata dell’agente. E’, infatti, sulla base di considerazioni quantitative (esposizione e potenza) che l’uso dell’amianto è stato abolito, si raccomanda la cessazione del fumo o moderazione nell’assunzione di carne lavorata, si suggerisce di usare creme protettive quando ci si espone al sole, ma non si sono mai proposte misure drastiche (a differenza del glifosate), come uscire di casa solo di notte.
Foto via Pixabay CC0 Creative Commons
La valutazione del glifosate
Chi scrive è da 30 anni invitato come esperto all’annuale JMPR compreso il JMPR del maggio 2016 in cui è stato discusso il glifosate. Per questo motivo si farà riferimento principalmente al rapporto del JMPR.
Il JMPR è l’organo consultivo per il Codex Committee on Pesticide Residues, branca del Codex Alimentarius, che regola il commercio mondiale delle derrate e degli alimenti. I componenti del JMPR sono nominati sulla base di una lista di esperti internazionali e vi partecipano a titolo personale.
Il JMPR ha valutato tutti gli studi di proprietà dei produttori e gli studi pubblicati e ha concluso che glifosate:
- Ha bassa tossicità acuta;
- Non è irritante per la cute;
- È irritante per la mucosa oculare;
- Non è sensibilizzante;
- Provoca modesti disturbi gastro-intestinali compresa ipertrofia delle ghiandole salivari (da irritazione delle mucose per il pH acido del glifosate) in topi, ratti e cani a dosi di 500 mg/kg di peso corporeo al giorno (corrispondente a circa 35 grammi al giorno per un uomo adulto di 70 kg) (oltre 10 studi in totale);
- Non causa tossicità riproduttiva o malformazioni a dosi fino a 3.500 mg/kg di peso corporeo al giorno (circa 250 grammi al giorno per un uomo adulto di 70 kg) (18 studi);
- Non interferisce con il sistema endocrino
- Non è neurotossico o immunotossico;
- Non è cancerogeno in topi (9 studi, di cui 7 considerati accettabili) e ratti (11 studi, di cui 10 considerati accettabili) trattati con diete che contenevano fino al 5% di glifosate (circa 500 grammi al giorno per un uomo di 70 kg) (LMR per il glifosate è fissato da EFSA in 0.0001-0.002% a seconda della derrata);
- Non è genotossico in seguito ad ingestione con la dieta (oltre 100 studi);
- Non vi è evidenza epidemiologica di aumento di rischio per neoplasia negli esposti a glifosate.
Il JMPR ha stabilito un’ADI pari a 1 mg/kg di peso corporeo derivato dalla dose più elevata (100 mg/kg di peso corporeo al giorno) alla quale non si sono osservati effetti sulle ghiandole salivari. Questa modalità di derivazione del limite, dividendo per 100 il livello di non effetto trovato negli animali, è internazionalmente condivisa. L’ADI stabilita per il glifosate è una delle più elevate (a riprova della sua non tossicità) mai derivata per un prodotto fitosanitario.
In pratica, dati i livelli massimi di glifosate riscontrati nella pasta (0,3 mg/kg, ossia 0.00003%), una persona di 70 kg potrebbe mangiare un ogni giorno 230 kg di pasta.
Le conclusioni sulla non-cancerogenicità si basano su:
- Saltuari eccessi di neoplasie considerati incidentali per uno o più motivi riportati in dettaglio nel rapporto del JMPR:
- Nella stragrande maggioranza degli studi, considerati adeguati (sulla base di criteri esplicitati nel rapporto), il glifosate non è genotossico in vivo;
- altri studi di tossicità non hanno mostrato effetti preoccupanti;
- Gli studi epidemiologici sono risultati incoerenti. In particolare, ha dato esito negativo lo studio più ampio e di miglior qualità e unico studio di coorte (AHS), che tutti gli epidemiologi riconoscono come più affidabile e informativo di uno studio caso-controllo. Nel 2017 è stato pubblicato un aggiornamento di questo studio che ha confermato che non c’era aumento di rischio per neoplasia e, in particolare, per linfoma non-Hodgkin (575 casi osservati) (Andreotti et al., 2017).
IARC classifica glifosate nel Gruppo 2A sulla base delle seguenti considerazioni:
- 4 studi di coorte per un totale di circa 160.000 soggetti osservati: negativi
- 1 studio caso-controllo, all’interno di uno degli studi di coorte, per un totale di 93 casi: negativo
- 13 studi caso-controllo, di cui:
- 11 negativi;
- 2 debolmente positivi per linfoma non-Hodgkin (36 e 23 casi);
- 10 studi di cancerogenesi nel topo (3) e ratto (7), di cui 4 considerati inadeguati: IARC ha avuto accesso apparentemente solo ai sommari (peraltro estesi) di EPA e di un precedente JMPR e non agli studi originali di cancerogenesi;
- studi di genotossicità condotti oltre che con glifosate anche con prodotti commerciali dei quali, nella maggior parte dei casi, non era nota la composizione e la presenza di impurità.
Da quanto sopra, si ricava che IARC ha analizzato solo una parte degli studi sperimentali disponibili, mentre in alcuni casi ha utilizzato sommari di EPA o JMPR. In questo modo ha perso informazioni significative, quelle stesse informazioni che hanno contribuito alla conclusione di JMPR (e degli altri enti), dopo considerazione e adeguato bilanciamento dei dati quantitativi, sulla non-cancerogenicità di glifosate.
Conclusioni
Solo una valutazione quantitativa del rischio ci può permettere di prendere decisioni informate e adeguate per la gestione delle sostanze chimiche. La semplice identificazione del pericolo può essere utile in una fase di screening, ma per sostanze molto studiate, come il glifosate, si tratta di un’operazione inutile, se non dannosa quando crea ansie infondate e provoca decisioni irragionevoli. Se anche fosse vero che il glifosate causa il cancro ad altissime dosi nell’animale da esperimento (e le evidenze vanno in senso opposto), sarebbe pur sempre possibile gestire l’esposizione come si fa per molte altre sostanze naturali classificate da IARC come possibili/probabili cancerogene e presenti negli alimenti, quali l’uva, la mela, il mirtillo, il limone, l’arancia, i broccoli, la lattuga, la carota, il cavolfiore, la carne rossa, le salsicce, il caffè etc..
Da più parti, ormai, si chiede di abbandonare la “classificazione” delle sostanze in quanto chiaramente sorpassata (Boobis et al., 2016) e non utile alla società. Nel caso del glifosate, questa ha innescato una diatriba, con accuse di vario tipo, e una mobilitazione della società civile e di parte della popolazione, sicuramente degna di miglior causa.
Angelo Moretto
Università degli Studi di Milano
Centro Internazionale per gli Antiparassitari e la Prevenzione Sanitaria (ICPS), ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano
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