Plutone, o della libertà
Perché siamo affezionati al piccolo pianeta, più bello delle piccole patrie
Abbiamo parlato molte volte su queste colonne, con rispetto e affetto, di Plutone. Il pianeta più piccolo del Sistema solare che alcuni scienziati volevano espellere dal novero di quelli che contano e che fu declassato, nel 2006, a “pianeta nano”, relegato a primo dei “corpi plutoniani”. Finalmente, battaglia quasi vinta. La rivista Icarus dà conto di una ricerca guidata da Philip Metzger dello Space Institute secondo cui, in base a due secoli di letteratura scientifica, non esistono i presupposti per considerare Plutone “pianeta nano”. In più, già dai dati della missione New Horizons della Nasa del 2015 si era scoperto che Plutone è più grande di quanto si pensasse. Ma niente, sorsero controversie – di misurazione e di metodi di misurazione e di sistemi di classificazione – tutte cose che importano agli umani ma non ai corpi celesti, e non se ne fece nulla. Ora, forse, il consesso degli astronomi tornerà sui suoi passi.
Abbiamo spesso parlato del piccolo Plutone, con trasporto per il suo “cuore” ben visibile sulla sua superficie, un po’ per gioco e allegria, un po’ per sfuggire alla noia delle notizie importanti. Ma un po’ anche per un’idea seria, cui siamo affezionati come al nostro nanetto. Un’idea che è un po’ una metafora. Nell’universo c’è spazio per tutti, e anche nella scienza i punti di vista diversi devono concorrere a capire meglio le cose e non a costruire tassonomie, dogmatiche infallibili che si rivelano fake, chiusure. Plutone è un modo per ricordarsi che si può essere piccoli, e rivendicare il proprio ruolo, senza per forza diventare delle piccole patrie malmostose e minacciose. Viva la libertà.