Cervello in fuga a chi?
Il virologo Crisanti e la retorica sull’Italia che fa scappare i migliori
C’è una piccola storia nella storia di questi giorni: quella di Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di Microbiologia dell’Università di Padova, l’uomo che ha fatto prendere al Veneto la strada dei test a tappeto, salvando la regione dalla deriva epidemiologica (il caso di Vo’ Euganeo è ora studiato all’estero). E la storia di Crisanti, di per sé, parla di uno studioso che è stato sì oltreconfine, e per molti anni (35, tra Heidelberg, Basilea e Londra), ma che è anche tornato. Più che un cervello in fuga, un cervello in circolazione. Come tanti che all’estero vanno, ma non necessariamente per scappare da quella che tradizionalmente, nell’immaginario e nella retorica a volte lamentosa del “qui tanto è così”, viene considerata, non sempre a ragione, la triade invalicabile per chi voglia fare carriera universitaria: familismo, clientelismo e nepotismo.
E però, già da qualche anno, ci sono storie personali e studi dedicati che dimostrano qualcosa di diverso: la presunta fuga dei cervelli spesso potrebbe essere meglio descritta con il termine “cosmopolitismo dei cervelli”, come raccontavano professori, rettori, ricercatori ed ex studenti in un’inchiesta pubblicata da questo giornale nell’ottobre del 2018, dopo che, nell'estate dello stesso anno, era stata assegnata la medaglia Fields, il Nobel per la matematica, ad Alessio Figalli, italiano all’estero. E quando a Figalli era stato chiesto se ci fosse “qualcosa di italiano” nel premio ricevuto, la risposta era stata: “Aver vinto dimostra che il nostro paese riesce a formare”. Sempre nel 2018, Nature aveva inserito due ricercatori italiani, Giorgio Vacchiano e Silvia Marchesan, tra gli undici scienziati “che hanno lasciato il segno”. E ci si era allora cominciati a interrogare su chi fossero quelli che erano “usciti dalla comfort zone”, per dirla con Sergio Marchionne, ma non per scappare. Scoprendo, dati alla mano, che esisteva anche una controstoria (tanti “casi Crisanti”, a guardarlo dall’oggi). E che non tanto di “migrazione”, quanto di mobilità si trattava.
Cattivi scienziati