Cattivi Scienziati
Servono test rapidi (anche per i guariti)
Siamo ancora carenti nella fase di diagnostica. Oltre al tampone rinofaringeo ci sono altre opzioni.
Senza la capacità di individuare per tempo i soggetti infetti non abbiamo alcuna possibilità di contenere il virus. Questo perché nuovi focolai sono inevitabili e a partire da quelli le persone possono trasportare il virus ovunque. Proprio il fatto che molti soggetti si infettano e mostrano sintomi lievi – solo dopo qualche tempo, oppure non li mostrano affatto – significa che l’unica via è il test molecolare, cioè una qualche analisi che ci dica, al di là dei sintomi e della clinica, se uno è portatore o no del virus.
Tuttavia, l’unico test oggi disponibile per rivelare un’infezione in corso – il famoso tampone, seguito da Pcr – richiede in Italia ancora tempi troppo lunghi; per non parlare del fatto che il numero massimo di test eseguibili in un giorno è limitato sia dai reagenti sia dalla manodopera specializzata e dai laboratori necessari. A conti fatti, siamo molto, molto al di sotto delle capacità di diagnostica di cui abbiamo un bisogno disperato: i test sono insufficienti e i risultati arrivano tardi, e non solo in Lombardia. E’ indispensabile, prima che sia troppo tardi, migliorare su questo punto. Come?
Una prima possibilità è quella di cominciare da subito a sviluppare protocolli di pooling, di cui come ricorderete ho già scritto mesi fa: mettere insieme più campioni, fare un solo test, e se esce positivo rianalizzare uno per uno i soggetti raggruppati in quel test. In particolare, da oltre un mese, negli Stati Uniti la Food and Drug Administration (Fda) ha autorizzato una procedura per il pooling dei tamponi che andrebbe immediatamente adattata al caso italiano e provata qui da noi.
Una seconda, interessantissima possibilità è quella di sostituire il test con tampone rinofaringeo con uno basato sull’analisi di un campione di saliva. In questo modo, il campionamento diventerebbe molto più semplice e più riproducibile, meno invasivo e in generale anche più economico. Nella saliva si può cercare, come nel tampone normale, l’Rna del virus: ci avevano provato mesi fa i francesi con scarsi risultati (si perdevano un positivo ogni quattro). In questi giorni, tuttavia, l’Fda ha approvato un test di Yale, basato sempre sulla detection mediante Pcr di Rna virale nella saliva, che ha una sovrapponibilità di circa il 94 per cento con il “tampone” tradizionale, almeno sulla piccola popolazione di pazienti per la quale è stato testato.
Infine, nella saliva si può cercare, invece dell’Rna virale, la proteina spike del virus: è la via scelta da un gruppo italiano, che a maggio annunciò un test basato su questo metodo. (segue nell’inserto II)
Vi è un grandissimo vantaggio a cercare la proteina spike, anziché l’Rna virale: si può avere così un test che non richiede laboratorio, che può essere eseguito da chiunque e in qualunque ambiente, e la risposta è immediata – un po’ come un test di gravidanza.
Questo test aveva buona sensibilità, cioè pochi individui con il virus sfuggivano all’analisi; tuttavia non era così buona la sua specificità, vale a dire che vi erano individui classificati senza virus che risultavano positivi al test. Se ne sa poco di più, e si sa che un’azienda cui è stato trasferito il progetto dall’Università dell’Insubria – la NatrixLab – dovrebbe industrializzare ciò che è uscito dai laboratori; tuttavia da un po’ non si hanno notizie.
Una terza possibilità infine è recentissimamente apparsa in un preprint: la proteina nucleocapsidica del virus può essere cercata nel sangue, anche mediante i “pungidito”, e per la prima volta sembra proprio che sensibilità e specificità siano veramente buone (descritte dagli autori come del 97,5 per cento e 100 per cento, rispettivamente). Ovviamente, un “pungidito” funzionante, in grado di rivelare il virus e non gli anticorpi contro di esso, sarebbe pure esso rivoluzionario. In queste condizioni, e soprattutto in vista della riapertura delle scuole e dei ritorni dalle vacanze, è assolutamente necessario che la diagnostica mediante tampone rinofaringeo non sia più il collo di bottiglia che permette al virus di invaderci di nuovo.
Oltretutto, test rapidi ben funzionanti non servono solo a trovare gli infetti. Servono anche a rilasciare chi è guarito, senza costringerlo a una prigionia prolungata ai domiciliari.
Per questo, è urgente procedere alla validazione rapida delle tecnologie disponibili, vale a dire pooling e test rapidi salivari ed ematici – magari prendendo in entrambi i casi, in prima battuta, le procedure autorizzate dall’Fda (che oltretutto sono poco costose) e poi, eventualmente, cercando di spingere sulle tecnologie alternative, le quali, se dovessero funzionare, sarebbero davvero dei game changer.
Cattivi scienziati