Non sarà solo una legge contro il cyberbullismo a salvare i nostri ragazzi
Quando si trattano argomenti particolari quali i minori, la scuola e quindi l’educazione, affidarsi solo a una norma non basta
E’ stata approvata la scorsa settimana all’unanimità dalla Camera dei deputati la legge contro il cyberbullismo, tra gli applausi dei presenti, la soddisfazione della presidente della Camera Laura Boldrini e del ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli, e la giustificata commozione di Paolo Picchi, papà di Carolina, quattordicenne morta suicida nel 2013, prima vittima del cyberbullismo.
“Madre” di questa legge è Elena Ferrara, senatrice Pd e insegnante di Carolina, che per prima ha portato la proposta di legge a Palazzo Madama. Con l’approvazione il problema è inquadrato a livello normativo. Prima di tutto si offre una dettagliata definizione di cyberbullismo, s’introduce la possibilità di denuncia da parte del quattordicenne che può chiedere l’eliminazione dei contenuti al gestore del sito. La legge prevede anche l’istituzione, all’interno di ogni scuola, del prof. anti bulli e di una consistente opera di formazione atta a prevenire e contrastare il fenomeno.
E’ acclarato che una legge sia utile per individuare degli argini dove scorre una vita comunitaria. Quando però si trattano argomenti particolari quali i minori, la scuola e quindi l’educazione, affidarsi solo a una norma non basta. La legge, ogni legge, ha una funzione anche culturale ed educativa, ma non assolve pienamente questa responsabilità.
Queste norme, se assunte come la risoluzione, possono celare, involontariamente, la vera natura del problema. Chi è deputato a educare non può demandare allo stato la propria responsabilità: vale sia per i genitori sia per gli insegnanti. In tutti i campi succede questo: quando si perde la capacità attrattiva (dell’adulto, del docente, dell’educatore) ci si rifugia nelle regole. Vale anche in politica. Quando l’elettorato inizia ad abbandonarti, cerchi affannosamente una legge elettorale che ti assicuri uno spazio.
Il rapporto tra le regole e l’educazione è come tra un fiume e le sue sponde; senza di queste un fiume non arriverà mai a ciò che aspira, il mare. Ma la vitalità e la bellezza del fiume, e anche la sua utilità, sono date dal fatto che non s’inaridisca la sorgente.
I nostri ragazzi sono alla disperata ricerca di compagnia, insicuri perché circondati da adulti insicuri. La scuola pullula di professori che protestano scontenti di quello che dovrebbe essere e non è. Professori che oggi ci sono e domani non ci sono più. I nostri figli bramano certezze, desiderio di essere affermati e a volte contestati. Il branco, per assurdo, assicura questo. Lo assicura con delle regole distorte, dove quello più debole soccombe in maniera a volte tragica. Sono tutti vittime. Chi pratica il cyberbullismo e chi lo subisce. Entrambi hanno un grande vuoto e insieme una grande vitalità a cui rispondono goffamente, e a volte violentemente, con il conseguente allargamento della voragine. Leggi e corsi di formazione, per quanto necessari, se non si incarnano in soggetti capaci di educare rischiano di essere solo un palliativo. O l’alibi per il nostro disimpegno.
Il Foglio sportivo - in corpore sano