Consigli per (i soliti) studenti ribelli
Protestate per una formazione migliore, non contro la “schiavitù” del lavoro
Hanno ragione gli studenti che ieri manifestavano contro l’alternanza scuola-lavoro che da quest’anno prevede ore di formazione presso aziende? Sì, se indirizzano la protesta verso tirocini non pagati e sconnessi dai percorsi formativi. No, se contestano a priori l’idea che la scuola debba essere in primo luogo applicativa, e non l’enorme nomenclatura autoreferente quale sta sempre più diventando, il cui vero scopo è mantenere insegnanti e impiegati irretendo ragazzi e famiglie con lo slogan multiuso del diritto allo studio: variabile indipendente dal mercato, dalla ricerca, dal benessere futuro delle nuove generazioni. Il numero chiuso, dove esiste, è stato una conquista, non una barriera da abbattere come si vorrebbe. La maxi-regolarizzazione di precari secondo il criterio che si va dove c’è la cattedra (e la retribuzione garantita), e non si traslocano le classi dove gli insegnanti hanno casa, è ora seguita da buchi in organico al nord dopo che gli ex precari hanno trovato gli appigli burocratici per tornarsene indietro, assieme ai diritti acquisiti. Così si annunciano concorsi ad hoc per supplenti con ulteriore decadimento della didattica. Soprattutto torna l’opposizione ideologica a ogni collaborazione dei privati con le università, attraverso fondazioni e con barriere per garantire l’autonomia. Stanford (privata) e Oxford (pubblica) con i diritti generati da Google e Hp, e dalle pubblicazioni di decine di premi Nobel, mantengono l’eccellenza nella filosofia e letteratura; oltre a finanziare le borse di studio. Mentre gli atenei italiani continuano a retrocedere nelle graduatorie mondiali.
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