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Il ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara - foto Ansa
Editoriali
La scuola, l'Africa, la Cgil, il G7 e ciò di cui ha bisogno la nostra scuola
Al G7 sull'educazione si è parlato, tra le altre cose, di Africa. La proposta del ministro Valditara: un grande piano per l’istruzione che coinvolga tutti i paesi membri, come una sorta di Piano Mattei. Ma c'è chi accusa le imprese
La scuola del futuro o sarà innovazione, e avrà la forza di un investimento sociale e ideale e di conseguenza economico, o non sarà. E se non sarà la scuola, non sarà più nulla, non solo del nostro vecchio mondo di cui ci limitiamo a denunciare il disagio giovanile, ma senza invertire la rotta, e tanto meno del mondo nuovo che verrà, quello che chiamiamo con eufemismo “sud globale”. Due esempi di cosa si debba fare, e si debba invece smettere di pensare vengono dalle cronache. Nei giorni scorsi si è svolto a Trieste il G7 dell’Educazione, guidato in rappresentanza dell’Italia dal ministro Giuseppe Valditara. Non solo discorsi generali, ma ad esempio l’impegno a ricostruire le scuole dell’Ucraina e un focus, molto condiviso, sulla necessità di ritrovare un rapporto vivo tra scuola, lavoro e imprese. Altro tema d’attenzione, l’Africa. Dove è più evidente che altrove che senza educazione non ci saranno ne pace né sviluppo. Valditara, con il rappresentate dell’Unione africana, ha proposto un grande piano per l’istruzione che coinvolga tutti i paesi del G7 per l’Africa.
“In Africa mancano 17 milioni di docenti”, ha detto. Numero da catastrofe che nega il futuro. Serve qualcosa di simile a un piano Mattei anche per la scuola. Servono, a livello internazionale così come nazionale, investimenti e nuove logiche di sostegno all’educazione. E un esempio è stata, la settimana scorsa in Italia, la presentazione della Fondazione per la scuola attraverso cui banche e aziende private promettono di sostenere il nostro sistema educativo, coniugando istanza pubblica e forza privata. Ma, ed ecco ciò che di cui la scuola invece non ha bisogno, ieri intervistata la segretaria della Flc Gianna Fracassi diceva cose di questo tenore: “È un’operazione di filantropia fatta da banche e società che si sono opposte alle tasse sugli extraprofitti”. Manco Adolfo Urso. Definire “un’elemosina allo Stato” un metodo, iniziale ma innovativo di reperimento delle risorse, è la cosa più miope che si possa fare. La scuola ha bisogno di innovazione e futuro, non di questo sindacalismo.
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