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Editoriali

La classifica del World University Rankings è un bagno di realtà per i nostri atenei

Redazione

Nell'elenco spuntano quattro università italiane e due gravi guai: da una parte si continua a reputare la laurea come un punto di arrivo piuttosto che di partenza, mentre dall'altra si capisce come i nostri ricercatori scrivano tanto ma vengano letti poco

Le classifiche delle università, come quella del QS World University Rankings, possono essere lette in due modi. Uno è controllare in che posizione si trovi un ateneo; l’altro è operare una visione d’insieme, in cerca di tracce statistiche di alcune tendenze. Per l’Italia, la prima opzione è consolatoria. Abbiamo quattro università fra le prime 100 (Politecnico di Milano, Bologna, Sapienza e Padova), pur latitando dalla top ten, e vediamo i bei balzi in avanti della Cattolica, che guadagna 18 posizioni, e dell’Università del Salento, ben 65. Analizzare i dati nell’altro modo può tuttavia risultare più utile. Dal raffronto con le medie europee emerge infatti come, di là dai singoli successi di specifici atenei, in Italia si continui a reputare l’università punto di arrivo anziché di partenza.
 

Vale per le immatricolazioni: nonostante il buon numero di iscritti, e le lamentele sul fatto che siano comunque troppo pochi, l’occupabilità resta sotto la media. Significa che la laurea viene ancora vista più come pergamena fine a sé stessa, occasione per far bisboccia con l’alloro in testa, che come ponte privilegiato verso il lavoro. Vale altresì per i rapporti con l’estero. Se pure partecipiamo a una fitta rete di scambi che consente ai nostri alunni di trascorrere periodi di studio oltreconfine, restiamo significativamente sotto media per numero di stranieri che scelgono di studiare in modo permanente nelle nostre università.
 

Dalle statistiche emerge che sono ancora pochi i corsi in lingua inglese, ma non è l’unico motivo: chi va a studiare all’estero lo fa attratto da atenei di sicuro richiamo quanto ad attività di ricerca. Bene, i dati QS rilevano che in Italia il numero di pubblicazioni scientifiche per ciascuno strutturato è elevatissimo, il doppio della media europea, ma l’impatto in termini di citazioni in testi altrui è scarso. Significa che nelle università italiane si scrive tanto ma si viene letti poco; che si fa ricerca più come rendita di posizione che come apertura al mondo.

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