Il rapporto Censis svela che l'Italia percepita, purtroppo, vale più di quella reale
L'industria va, la ripresa c'è, turismo e consumi volano, ma nonostante questo il paese del malumore continua a crescere
C'è un'Italia che si rialza, cresce, riprende a correre dopo gli anni della crisi. E poi c'è l'Italia del malumore, che continua ad avvitarsi su se stessa. Un'Italia reale e una percepita. Peccato che il percepito abbia ormai superato la realtà. A dirlo è il rapporto Censis 2017 presentato questa mattina.
“Manifatturiero, filiere italiane nelle catene globali del valore e turismo da record sono i baricentri della ripresa - si legge nel comunicato diffuso dall'Istituto -. Attraverso i consumi torna il primato dello stile di vita: ora gli italiani cercano un benessere soggettivo nella felicità quotidiana”. Purtroppo prosegue, “l'immaginario collettivo ha perso la forza propulsiva di una volta e non c'è un'agenda sociale condivisa. Ecco perché risentimento e nostalgia condizionano la domanda politica di chi è rimasto indietro”. Insomma, per dirla con le parole del Censis, “la ripresa c'è e l'industria va, ma cresce l'Italia del rancore”.
Il Censis dice che l'Italia riparte, che la produzione industriale vola, che i consumi corrono ma che nonostante tutto il rancore cresce. Il punto è ovvio: siamo un paese fondato sull'anti sistema, dove ciò che è percepito purtroppo è diventato più importante di ciò che è reale.
— Claudio Cerasa (@claudiocerasa) 1 dicembre 2017
Industria e export. Ovviamente non si tratta di un'analisi astratta. A sostegno di questa lettura della società italiana del 2017 ci sono anzitutto i dati. Nel comparto industria, ad esempio, l'unica voce negativa è quella relativa agli investimenti pubblici, scesi del 32,5 per cento in termini reali nell'ultimo anno. A questo fanno da contraltare l'incremento della produzione industriale (+4,1 per cento nel terzo trimestre), ma anche la quota dell'Italia sull'export manifatturiero del mondo che è arrivata al 3,4 per cento con numeri record nei materiali da costruzione in terracotta (23,5 per cento), nel cuoio lavorato (13,2 per cento), nei prodotti da forno (12,2 per cento), nelle calzature (8,1 per cento), nei mobili (6,8 per cento), nei macchinari (6,4 per cento). Aumentano, allo stesso tempo, anche le aziende esportatrici che nel 2016 sono 215.708, circa 10 mila in più rispetto al 2007.
I consumi delle famiglie E ancora, tra il 2013 e il 2016 la spesa per i consumi delle famiglie è cresciuta complessivamente di 42,4 miliardi di euro (+4 per cento in termini reali nei tre anni). Nell'ultimo anno gli italiani hanno speso 80 miliardi di euro per la ristorazione (+5 per cento nel biennio 2014-2016), 29 miliardi per la cultura e il tempo libero (+3,8 per cento), 25,1 miliardi per la cura e il benessere soggettivo (parrucchieri 11,3 miliardi, prodotti cosmetici 11,2 miliardi, trattamenti di bellezza 2,5 miliardi), 25 miliardi per alberghi (+7,2 per cento), 6,4 miliardi per pacchetti vacanze (+10,2 per cento). E tutto questo può essere sintetizzato in un numero: il 78,2 per cento degli italiani si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della vita che conduce.
Positivo è anche il confronto con altri paesi europei. Negli ultimi dieci anni le famiglie italiane hanno destinato ai servizi culturali e ricreativi una spesa crescente: +12,5 per cento nel periodo 2007-2016, contro il -9,6 per cento nel Regno Unito, -8,1 per cento in Germania, -7 per cento in Spagna. Solo in Francia si è registrato un +7,7 per cento che resta comunque distante dal dato italiano.
Ottima anche la performance del turismo: nel 2016 gli arrivi complessivi hanno sfiorato i 117 milioni e le presenze i 403 milioni (i visitatori stranieri sono stati il 49 per cento del totale). Rispetto al 2008 l'incremento degli arrivi è stato del 22,4 per cento e dei pernottamenti del 7,8 per cento. Insomma, anche se pensiamo il contrario, il nostro paese resta ancora attrattiva per i turisti.
L'Italia del rancore. Ciò nonostante le note negative non mancano. “Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica - sottolinea il Censis - e il blocco della mobilità sociale crea rancore”. Ecco quindi che l'87,3 per cento degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, esattamente come l'83,5 per cento del ceto medio e il 71,4 per cento di quello benestante. “La paura del declassamento - si legge nel rapporto - è il nuovo fantasma sociale. Ed è una componente costitutiva della psicologia dei millennials: l'87,3 per cento di loro pensa che sia molto difficile l'ascesa sociale e il 69,3 per cento che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso”.
Il risultato di questo “malessere” è ovviamente una modifica, profonda, del nostro immaginario collettivo che “ha perso forza propulsiva”. Al primo posto ci sono i social network (32,7 per cento), seguiti dal “posto fisso” (29,9 per cento), dallo smartphone (26,9 per cento), dalla cura del corpo (i tatuaggi e la chirurgia estetica: 23,1 per cento) e dal selfie (21,6 per cento), prima della casa di proprietà (17,9 per cento) e del buon titolo di studio come strumento per accedere ai processi di ascesa sociale (14,9 per cento).
Resta altissima, in questo quadro, la sfiducia nei confronti della politica e delle istituzioni. L'84 per cento degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78 per cento nel governo, il 76 per cento nel Parlamento, il 70 per cento nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60 per cento è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro paese, il 64 per cento è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75 per centro giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. E poco importa che l'economia abbia ripreso a crescere.
Politicamente corretto e panettone
L'immancabile ritorno di “Una poltrona per due” risveglia i wokisti indignati
Una luce dietro il rischio