L'Italia non è un punto nascite
Chiuderà un quinto dei reparti di maternità. Ci siamo storditi di diritti
Un quinto dei punti nascita che eseguono meno di cinquecento parti all’anno è destinato a chiudere in Italia. Non sarebbero in grado di “garantire la sicurezza”, visto che la qualità di un punto nascita si misura dal numero di parti che registra. Il 37 per cento di questi avviati alla chiusura si trova al nord, il 20 per cento al centro e il 43 per cento al sud. Dietro questi numeri c’è il disastro demografico di un paese che, per molti anni, ha pensato di darsi molti diritti, compreso il testamento biologico che dovrebbe garantire una “morte dignitosa”. Ma che ha pensato poco, pochissimo, a come accogliere la vita umana. La denatalità, che vede l’Italia al gradino più basso della classifica mondiale, è stata materia di campagna elettorale. Ma passata la sbornia di voti, la questione è già rientrata nei libri dei demografi, negli archivi dell’Istat, nei documenti dei centri studi. Dovrebbero farci riflettere, se non i numeri sciorinati ogni anno dall’istituto di statistica, almeno la metamorfosi profonda di un paese alle prese con l’invecchiamento e la denatalità di massa. Le scuole che chiudono sezioni per mancanza di studenti, il business che si ristruttura per far fronte a nuovi consumi (teste grigie anziché neonati), gli ospedali che convertono i reparti di maternità in quelli di geriatria, gli asili nido accorpati. Viviamo nel set non della grande bellezza, ma della grande illusione di poterci permettere una società al culmine dei propri bisogni e diritti, ma con sempre meno bambini. Non oggi, ma presto ne pagheremo le conseguenze. E saranno più terribili di quanto ci immaginiamo.