I Simpson si scusano dopo che i dementi pol. corr. hanno fatto di Apu un razzista
Ma Homer che parla di inclusivity e diversity potrebbe molto prima smettere di farci ridere
Per le strade di Springfield hanno camminato un po’ tutti, compresi Hitler e Saddam. Ma Springfield non è mai stata una città facile neppure per loro. Perché i Simpson sono sempre stati i principi del politicamente scorretto. Cinque mesi fa, la serie ha paragonato la consigliera di Trump, Kellyanne Conway, niente meno che a Joseph Goebbels. Conquistarono il pubblico nel 1990, entrando a far parte dei programmi di alta qualità della Fox. La critica non fu tenera con la nuova creatura di Matt Groening, definita “offensiva, volgare e sovversiva”. “Fu molto combattuta la prima uscita” confesserà Mike Scully, il produttore, “ma dopo un po’ di tempo abbiamo convinto gli adulti a sedere accanto ai loro figli a guardare i Simpson e li abbiamo fatti divertire”. Groening si è più volte chiesto quale fosse il motivo del successo dei Simpson. “Io li amo, e amo soprattutto Homer, perché è assolutamente governato dalle proprie emozioni, se ha voglia di fare una cosa la fa, ama la birra e le ciambelle e odia il lavoro e i suoi vicini. Mi fa ridere”. E a far molto divertire ci ha sempre pensato il personaggio di Apu, un immigrato con una famiglia numerosa, l’accento pesante e un cognome impronunciabile (Nahasapeemapetilon). Almeno fino a oggi. Perché Apu è diventato una caricatura “razzista”, uno “stereotipo” da rieducare. E come poteva la scure demente del politicamente corretto non abbattersi su di lui, l’indiano che parla maccheronico, visto che ha già fatto a pezzi i libri di Mark Twain, i quadri puritani di Harvard e le statue di Colombo?
A denunciare “il problema della rappresentazione di indiani e pachistani nella cultura popolare americana” ci ha pensato un documentario, The problem with Apu, del comico e regista Hari Kondabolu. Qualche settimana fa, a ribattere alle accuse di “razzismo”, che nel frattempo erano diventate virali sui social, era stata la stessa Lisa Simpson durante la puntata dell’8 aprile, No Good Read Goes Unpunished. Lisa si rivolge agli spettatori: “Qualcosa che quando iniziò decenni fa era apprezzato e considerato non offensivo, ora è ritenuto politicamente scorretto. Cosa ci possiamo fare?”. E intanto si vede sul suo comodino una fotografia di Apu, con una dedica a Lisa scritta: “Non mangiare una mucca. Firmato Apu”. I Simpson salvano per qualche giorno l’onore della propria comicità fuori da ogni schema. Ma dura poco. Perché ieri l’attore Hank Azaria, che da trent’anni presta la voce ad Apu, ha fatto mea culpa e marcia indietro. Azaria ha detto che sarebbe “perfettamente felice di farsi da parte” dopo che Kondabolu aveva detto che l’Apu di Azaria gli ricordava “quel ragazzo bianco che sfotte mio padre”. “Ho riflettuto molto, ho riflettuto molto”, ha detto Azaria. “Sono disposto a trasformarlo in qualcosa di nuovo”. Qualcosa che dopo trent’anni non va più bene. Azaria, che ha vinto quattro Emmy per Apu, si dice dispiaciuto: “L’idea che qualcuno sia stato preso in giro in base al personaggio di Apu, mi rende davvero triste, non era mia intenzione, volevo diffondere risate e gioia”. Kondabolu ha twittato: “Grazie, @HankAzaria. Apprezzo ciò che hai detto e come lo hai detto”.
“Penso che siamo vicini alla fine, un altro paio di anni e basta”, aveva dichiarato Groening al Financial Times nel 2002. Ma subito dopo, mentre circolava la voce che la serie sarebbe stata sospesa, si è affrettato a dire: “Ci saranno episodi dei Simpson persino dopo che io sarò sepolto”. Ma Homer Simpson che parla di inclusivity e diversity potrebbe molto prima smettere di farci ridere.
generazione ansiosa