Circoli esclusivi per giovani iperattivi
La crisi dei country club racconta l’ossessione dei millennial per il lavoro
Anche i country club sono in crisi: i vecchi iscritti invecchiano inesorabilmente e i nuovi sono sempre meno. Succede perché a nessun millennial, neanche al più facoltoso, passerebbe mai per la testa di pagare una tessera annuale per frequentare un posto pensato per rilassarsi ininterrottamente, dove i cellulari sono banditi, spesso non c’è il wi-fi e mancano spazi per il coworking: un posto dove è impossibile lavorare. I dati sull’occupazione dei millennial americani del Pew Research Center mostrano una generazione che sfora le 35 ore di lavoro settimanale, che ha più tempo libero a disposizione ma meno giorni di ferie, che conta il numero più alto di “martiri del lavoro”, cioè di persone ossessionate dal rendersi indispensabili e convinte di non essere sostituibili dai propri colleghi neanche per una settimana all’anno: una generazione che non ha alcun interesse a evadere per più di mezz’ora dall’ordinarietà lavorativa. I country club hanno trascurato questo passaggio, si sono illusi che per attirare una clientela più giovane sarebbe bastato agevolare le tariffe, prevedere qualche corso di pilates e yoga, restaurare e mondare l’esclusivismo un po’ classista che li ha sempre tipizzati: non è servito a niente. I millenial americani, osserva la piattaforma CityLab, versano quote d’iscrizione altissime per entrare negli urban club, posti informali, divertenti, esclusivi, dove il relax è limitato a piccole aree e il resto è pensato per agevolare il networking: enormi hub creativi dove tutti lavorano anche se non sembra, perché il lavoro è indistinto dalla vita e, anzi, con essa coincide. Tesserarsi sì, ma solo se serve alla carriera.
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