Greta Thunberg appena sbarcata a Lisbona per partecipare al summit sul clima delle Nazioni Unite di Madrid (foto LaPresse)

Greta svela la vera faccia dell'ecologismo, l'odio di sé dell'occidente

Giulio Meotti

“Ci battiamo contro colonialismo, razzismo e patriarcato”, scrive la giovane attivista svedese in un editoriale su Project Syndicate per spiegare perché è importante protestare per il clima

Roma. In un saggio dal titolo “Mass Death Dies Hard”, il compianto critico culturale australiano Clive James, da poco scomparso a Cambridge, definiva la campagna sul global warming come un “animus rivoluzionario contro la democrazia liberale”, un “abracadabra” il cui vero scopo potrebbe essere quello di “creare un governo mondiale che assicurerà quella che Robert Mugabe chiama ‘la giustizia del clima’, in cui il capitalismo è sostituito da qualcosa di altruistico”. Questo prima che Greta Thunberg saltasse la scuola in Svezia per salvare il pianeta, prima che diventasse una icona mondiale, prima che si imbarcasse su un catamarano per l’America, prima che questa settimana arrivasse a Madrid per il summit sul clima delle Nazioni Unite. “Why we strike again” è il titolo dell’editoriale scritto da Greta su Project Syndicate per spiegare perché è importante protestare. “Tale azione deve essere potente e di ampio respiro”, scrive l’ambientalista svedese. “Dopotutto, la crisi climatica non riguarda solo l’ambiente. I sistemi di oppressione coloniale, razzista e patriarcale l’hanno creata e alimentata. Dobbiamo smantellarli tutti”. Rileggiamola bene: la crisi climatica è frutto del razzismo, del colonialismo e del patriarcato occidentali, che vanno smantellati. Siamo nel cuore della vera faccia dell’estremismo ecologista, che non è tanto la premura per l’ambiente, ma quella di un occidente sommerso dall’odio di sé. Siamo nella nuova fase dell’ambientalismo. Il Guardian ha pubblicato una serie di interviste sulla “giustizia climatica”, a cominciare da quella al suo ideatore, Robert Bullard. Si rilegge anche la storia attraverso questa lente. Ricercatori della University College di Londra hanno di recente spiegato che la colonizzazione delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo (le cui statue sono state abbattute perché in odore di “razzismo”) ha riscaldato il clima, impattando sulla salute del pianeta. E’ la convergenza perfetta dei capri espiatori: il marxismo, che ha individuato nel capitalismo il responsabile delle miserie umane; il terzomondismo, che ha elevato l’occidente a criminale della storia, e l’ambientalismo, dove il colpevole è l’uomo stesso. Parlando con il settimanale francese Point, Michael Shellenberger, “eroe dell’ambiente” secondo la rivista Time, ha detto che questo moralismo ecologista vorrebbe farci “vivere come nei paesi poveri. Greta Thunberg non vivrà come una congolese, è ridicolo. La sua esistenza è quella di una ricca bambina svedese”. 

 

 

E’ l’idea di appartenere alla feccia dell’umanità, così che l’interesse di tutti i diseredati sociali e gli emarginati culturali viene a coincidere, tanto che nessun discorso, nessun documento, nessuna analisi ambientalista possa concludersi senza che riecheggi il grande luogo comune: l’uomo bianco è malvagio. Come ha scritto Pascal Bruckner nel suo “Fanatismo dell’Apocalisse”, la preoccupazione ambientale è universale, la fine del mondo è esclusivamente occidentale. L’indiano Barun Mitra conferì un “premio” speciale alle ong occidentali per la loro opera “di sostegno della povertà”. Una lapide appoggiata allo sterco animale, a simboleggiare la qualità degli argomenti degli ecologisti radicali e la “biomassa” cui erano stati condannati i poveri.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.