L'Europa nella morsa demografica
Un documento importante della Commissione sul crollo delle nascite
Nel 2019, per il secondo anno consecutivo, l’Unione europea ha registrato più morti che nascite. Se la sua popolazione ha continuato ad aumentare leggermente è solo a causa del saldo migratorio. Molti stati sono già in pieno declino: dalla fine degli anni 80, l’Europa orientale, più recentemente anche i paesi del sud come l’Italia, la Spagna e la Grecia.
A lungo i leader europei hanno sottovalutato le implicazioni economiche, sociali e politiche di questa implosione demografica. Mercoledì la Commissione, presieduta da Ursula von der Leyen, che aveva per prima dedicato un portafoglio a questo tema, ha presentato un “rapporto sull’impatto della transizione demografica”. Il documento di trenta pagine fornisce un quadro a dir poco cupo. La popolazione dell’Ue, stimata a 447 milioni di persone da quando è uscito il Regno Unito, scenderà a 424 milioni in mezzo secolo. Gli autori del rapporto stimano che l’Ue perderà circa il 18 per cento della sua forza lavoro. Prevedendo che la percentuale di persone con più di 65 anni raggiungerà il 30 per cento entro mezzo secolo, si sottolinea la necessità di tenere conto del crescente peso delle pensioni sulle finanze pubbliche. Nella penisola iberica, nell’Italia meridionale o in alcune parti della Grecia, il tasso di fertilità oggi non supera 1,25 bambini per donna, il più basso mai registrato.
“E’ una minaccia strutturale, quasi un problema esistenziale”, ha detto il primo ministro croato Andrej Plenkovic. Secondo lo studioso Ivan Krastev, è essenziale anche esaminare il legame tra la crisi demografica e quella democratica. “Quando i più giovani e istruiti lasciano in massa per andare a lavorare in Germania o nei paesi scandinavi, come possiamo essere sorpresi dal fatto che coloro che rimangono si affidino a leader conservatori, nazionalisti e diffidenti dell’Europa occidentale?”. Non è solamente una crisi delle nascite. Ne va anche della legittimità europea.
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